25 aprile 2021 – 76° anniversario della Liberazione con la partecipazione della Ministra Marta Cartabia

Cerimonia Ufficiale

Genova, 25 aprile 2021

 

Intervista a Giacomo Ronzitti “I valori della Costituzione per battere il virus”

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Gli interventi delle autorità e della Ministra Marta Cartabia al Teatro Carlo Felice


1945 la guerriglia di Genova – con Paolo Battifora
andato in onda su Primocanale, martedì 20 aprile 2021


25 aprile, un giorno di gioia! 

di Laura Repetto

Il giorno della Liberazione fu un giorno di gioia, ma, per comprenderlo a fondo, dobbiamo tornare a ciò che accadde prima e ripartire dal dolore, dai lutti, dalle lacrime di quelle donne che piangevano ancora i loro figli ed i loro mariti o che avevano pagato in prima persona il prezzo della lotta per la libertà, mentre nelle strade scorrevano i cortei festanti. Il gelido inverno del 1944-’45, aveva portato con sé il picco di violenza della guerra: nella nostra regione, le sole uccisioni dei civili avevano provocato 876 vittime in 174 stragi, senza contare le violenze non letali, gli stupri, i borghi incendiati, le deportazioni nei campi di concentramento o al lavoro coatto. La medaglia d’oro al valore civile, che svetta sul gonfalone della nostra Città Metropolitana, evidenzia il contributo straordinario degli uomini e delle donne che lottarono con ogni mezzo sui monti, in fabbrica, in città per tornare a respirare. Presso i molti monumenti commemorativi sparsi sul nostro territorio possiamo ricordare i nomi di alcuni di loro, possiamo sentire ancora vicini quegli eventi, percepire le voci di quei martiri gridare “Viva l’Italia” prima di morire, sussurrare preghiere, rivendicare il loro ruolo nella storia chiedendo, a chi restava, di impegnarsi perché il loro sangue non fosse sparso invano.

La dimensione di quel dolore ci impone di custodire il suo senso più profondo: è stato il prezzo di un bene prezioso che ci è stato donato, la Libertà, da cui sono nate le nostre istituzioni democratiche e la carta costituzionale. Quel 25 aprile si tornò a respirare, si sfilò per le strade, poté proclamare la propria opinione alla luce del sole, si smise di tremare per un volantino, di aver paura per una parola o una frase sfuggita; si cessò di fremere ogni qualvolta qualcuno bussasse alla porta. Fu la vittoria dell’antifascismo sul razzismo e il mito della razza; sulla politica intesa come dittatura repressiva di un popolo, come partito unico e assenza di confronti elettorali; sulla cultura intesa come strumento prevaricazione; su un’idea di scuola intesa come veicolo di indottrinamento; su una concezione della donna svilita al ruolo della sola maternità, finalizzata alla mera produzione di carne da cannone per l’esercito del duce.

E’ quella gioia che oggi dobbiamo richiamare, insieme a tutti i sacrifici che essa comportò. L’Italia era distrutta, andavano ricostruite macerie morali e materiali. il Paese intero era stato dilaniato dai bombardamenti; le famiglie, sfollate, rientravano in città senza più trovare la loro casa; per milioni di italiani si era fatta difficile la pura sopravvivenza: la situazione alimentare era disastrosa, le risorse agricole vicine all’esaurimento, il commercio ristagnava, l’apparato industriale aveva subito danni ingentissimi. La situazione critica favoriva borsa nera e inflazione. L’Italia aveva perso la guerra. I meriti della Resistenza vennero riconosciuti dagli Alleati, ma il Paese pagò un prezzo carissimo: lo pagarono, per tutti, i Friulani i Veneto-Giuliani e i Dalmati, che dovettero da lì a poco scegliere tra la loro casa e la loro patria, tra la propria terra e la libertà, tra una nuova dittatura e un destino da profughi. Ben 350.000 di loro scelsero “di essere due volte italiani”, abbandonando lavoro, affetti, tutti i loro beni per affrontare mesi o anni di miseria nei campi profughi, in una terra spesso incapace di accoglierli.

Nonostante le difficoltà, tuttavia, l’entusiasmo era grande: esplose la gioia della Libertà, la passione politica e il 2 giugno 1946, gli uomini e, finalmente, anche tutte le donne poterono votare al Referendum su Monarchia o Repubblica e per l’elezione dell’Assemblea Costituente. La percentuale dei votanti arrivò all’89,1%. Le code ai seggi erano lunghissime, qualcuno si portava sedie e sgabelli per reggere all’attesa. Si dovettero aspettare giorni per i risultati effettivi, in un clima da stadio. Miracolosamente, poi, mentre all’orizzonte si profilava la guerra fredda, in un clima politico sempre più teso, nonostante i drammatici contrasti all’interno del Parlamento, i 75 membri della Commissione deliberarono “la Costituzione più bella del mondo”, figlia di quei valori dell’antifascismo ormai condivisi da tutti. Fu votata all’unanimità. Il testo, licenziato a grandissima maggioranza anche dal Parlamento, entrò in vigore il primo gennaio del 1948.

Quei principi fondamentali ancora adesso restano immutati né alcuna volontà riformatrice può toccarli. L’Italia è una Repubblica democratica. E’ fondata sul lavoro. Riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, ma richiede a tutti –nel contempo- l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. La Costituzione rivendica la pari dignità sociale di tutti i cittadini, eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Questi articoli non sono meri dispositivi di legge, ma progetti di vita e di lavoro, sfide ideali da concretare nella realtà del quotidiano: i Costituenti, consapevoli che quei principi erano ben lontani dall’essere realizzati, rivendicarono la volontà, comune e condivisa, di impegnarsi per raggiungerli nel futuro, costruendo così un impegno, un legame, un ponte con le generazioni future. Il secondo comma dell’articolo 3, quello che forse mi è più caro, frutto della caparbia volontà di due donne straordinarie, Tina Anselmi e Teresa Mattei, esprime chiaramente questo spirito: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

Quei principi non sono neppure oggi un dato di fatto, ma una meta da raggiungere, qualcosa per cui adoperarsi sempre. Tanto è stato fatto, molto è ancora da fare. Ciò risulta ancor più urgente ed evidente in questi giorni di grande crisi economica, sociale, sanitaria.

Commemorare e festeggiare il 25 aprile, significa, dunque, oggi, impegnarsi a raccogliere il testimone di quanti soffrirono per donarci la Libertà; mettersi sulla scia dei Costituenti, che trovarono un punto di mediazione in un momento di durissimo scontro politico. Lottare contro ogni forma di discriminazione; scandalizzarsi e reagire di fronte ad ogni forma di violenza (reale o virtuale) contro le donne, i portatori di handicap, chiunque non risponda agli stereotipi imposti dalla cultura dominante. Significa lottare perché i nostri figli, ora, nel momento in cui il gap sociale rischia di crescere vertiginosamente a causa della pandemia, abbiano tutti la stessa chance di costruirsi un futuro dignitoso. Fuggire i nazionalismi che hanno portato solo guerra, ricordando che l’Europa nacque a Ventotene.

Commemorare il 25 aprile significa sfuggire al populismo perché esso fu la cifra del nazismo e del fascismo, fu prima strumento di semplificazione concettuale poi divenne richiesta di cieca adesione alla volontà di uno e, infine, annientamento dell’opposizione di tanti. Vuol dire impegnarsi ad approfondire, a capire, a farsi una propria idea, non cedere alla facile semplificazione dell’informazione “mordi e fuggi”; aprirsi al confronto, sempre nel rispetto dell’altro, opporsi agli urlatori delle tribune mediatiche.

Antifascismo è voglia di partecipare, di fare la propria parte, piccola o grande che sia. Provare a cambiare la nostra quotidianità, e con essa il nostro Paese, nonostante l’enorme crisi che oggi lo sconvolge; ritrovare le ragioni per superare la dura prova che ci si staglia di fronte: anche se possiamo fare poco, dobbiamo ricordare che un uovo, un maglione, un paio di scarpe una volta salvarono la vita ad un partigiano e che la morte di uno fu spesso la salvezza di altri, che il contributo di tutti portò alla Liberazione e ad un’Italia migliore.

Nei momenti più difficili, le voci che si levano da Cravasco, dalla Benedicta, dal Turchino, dal profondo del mare di fronte all’Olivetta, dal borgo della Squazza, da Cichero ci chiedono di impegnarci perché quella Libertà per cui morirono non vada fraintesa. Ci urlano: basta! Basta col menefreghismo, le scelte di comodo, la logica dell’individualismo e del tornaconto personale, della contrapposizione. La Libertà che ci donarono implica impegno affinché tutti siano liberi e ogni persona possa giungere al suo pieno sviluppo, affinché sia possibile costruire un futuro migliore, basato sulla solidarietà, l’attenzione ai più poveri e ai più deboli: una casa in cui tutti possano vivere, saldamente basata su quei principi che furono il cemento di allora. Mentre siamo alla ricerca affannosa di una soluzione comune alla pandemia mondiale che ha sconvolto la nostra quotidianità -con le sue abitudini e certezze- e sparge morte sconsolata intorno a noi, quelle voci ci ricordano l’importanza della collaborazione e del confronto leale, di qualche sacrificio in vista del bene di tutti.

Sta a noi oggi, qui nella terra che fu del comandante Bisagno, realizzare compiutamente nella loro pienezza gli articoli della Costituzione. Solo così possiamo onorare la preziosa lezione di abnegazione ed integrità morale che abbiamo ricevuto. Solo così potremo uscirne migliori.

25 aprile, un giorno di gioia! L. Repetto

 

 

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Autore dell'articolo: Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell′Età Contemporanea

ILSREC - Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell'Età Contemporanea. Questo Istituto, fin dalla sua fondazione nell'immediato dopoguerra persegue, con spirito di verità e rigore scientifico, lo studio e la divulgazione dei molteplici aspetti che hanno mosso e caratterizzato la Resistenza, nel quadro degli eventi che hanno drammaticamente segnato l’intera storia del Novecento.