A proposito di democrazia e coronavirus

di Maria Antonietta Falchi Pellegrini

 

Riflettendo su questo anno 2020, iniziato da pochi mesi e già così drammatico, mi vengono incontro due flash.

A gennaio pensavo ai 75 anni dalla liberazione, a come potevo fare memoria, forse una conferenza, un articolo per richiamarne il ricordo, il significato, l’attualità. E ricordavo quello che mi raccontava mia Mamma, che eravamo rientrati a Genova in quei giorni dalla Val Curone, dove mio Padre aveva dovuto nascondersi e che i giovani che scendevano dai monti nella città  liberata passavano a salutarlo…..

A febbraio tutto questo si annebbia, si confonde e si affaccia un nemico sconosciuto e pericoloso, prima lontano poi sempre più vicino, invasivo e minaccioso. Un nemico verso cui non abbiamo strumenti di difesa. Non un dittatore contro cui resistere, una guerra da risolvere con negoziati di pace, un attacco terroristico da cui proteggerci. E’ invece un nemico che ha l’aspetto del vicino, dell’amico, di uno come noi. Infatti si trasmette nella vicinanza umana e l’unica difesa è l’isolamento, la solitudine nelle nostre case.

Siamo in una situazione nuova, anche se richiama drammi antichi, una situazione che blocca tutta la nostra operatività, che sembra annullare il progresso della modernità, che ci rende incapaci di reagire, se non a caro prezzo e con fallimenti ed errori. Di fronte a questa situazione la politica fatica a esercitare il suo ruolo di individuazione e perseguimento del bene della polis, forse non ne ha tutti gli strumenti. Si appoggia perciò alla scienza, che studia la situazione epidemiologica, cerca e propone soluzioni, ma non può dare le certezze che non ha ancora raggiunto né può prendere le decisioni di orientamento sociale e politico.

“Oggi viviamo uno ‘stato di eccezione’, mai vissuto dalla seconda guerra mondiale, imprevisto e imprevedibile. Lo stesso ordinamento costituzionale e la ripartizione delle competenze tra le varie istituzioni non aiuta, a volte, a fronteggiare l’emergenza”. Così scriveva il 18 marzo il nostro Presidente Ronzitti.

E Massimo Cacciari il 3 aprile commentava su Huffpost: “Ci sarà una strepitosa accelerazione verso il capitalismo politico e una riduzione ai minimi termini degli spazi di rappresentanza della democrazia tradizionale. Se i nostri sistemi liberali non saranno capaci di salire all’altezza delle sfide di questo tempo, riorganizzando la propria vita completamente, la pagheranno cara. Lo stato d’eccezione permanente spinge verso il decisionismo”.

Questo stato d’eccezione, una situazione oggettiva di pericolo, percepita come tale dai cittadini, dove si uniscono i gravi rischi per la vita e la salute, e gli altrettanto gravi rischi per la stabilità economico-sociale, può portare a conseguenze anche estreme che vanno da episodi di violenza, sintomo di disperazione per situazioni di povertà e abbandono, all’affidamento a un padre-padrone, un salvatore della patria. Si delineerebbe così il percorso descritto da Platone che va dal demagogo al tiranno.

Per evitare tali degenerazioni è importante che tutti, in particolare coloro che ricoprono ruoli politici, rimangano entro lo schema tracciato dalla nostra Costituzione, affrontando con equilibrio e prudenza le difficoltà che certo non mancano, secondo la linea tracciata nei suoi discorsi dal presidente Mattarella.

L’11 aprile, vigilia di Pasqua, il presidente Ronzitti ci ha proposto ulteriori spunti di riflessione, scrivendo che “l’attuale flagello può scompaginare, come sta succedendo, il normale svolgimento della vita e delle relazioni umane, l’ordine economico-sociale, la gerarchia di valori che ci ha accomunato dopo la seconda guerra mondiale e le stesse libertà individuali e collettive affermate nei moderni ordinamenti costituzionali”.

Infatti in questi ultimi mesi sono stati sospesi alcuni diritti fondamentali, come quelli di movimento, di associazione, di riunione, di culto…, diritti che la nostra Costituzione riconosce e che hanno segnato il passaggio dell’Italia dalla dittatura alla democrazia. Sappiamo che i nostri diritti sono stati drasticamente limitati per tutelare un diritto primario, quello alla vita e alla salute, senza il quale gli altri non esisterebbero e non potrebbero essere esercitati.

Tuttavia, poiché la democrazia è il sistema politico più fragile, fondato su un sottile equilibrio tra eguaglianza, libertà e autorità, deve sempre essere difesa da possibili degenerazioni. Da un eccesso di libertà a scapito dell’autorità, diceva Platone, si può giungere all’anarchia e di qui alla tirannide. Da un eccesso di eguaglianza a scapito della libertà, diceva Tocqueville, si può giungere al dispotismo della maggioranza.

Proprio in un momento di grave crisi, come quella in cui oggi viviamo in ambito sanitario, può emergere la tentazione di affidarsi all’uomo forte, che forse rassicura, come è accaduto in Ungheria. E sappiamo bene che nazismo e fascismo si svilupparono in un contesto di crisi economica e tensioni sociali.

E’ perciò importante, se si apprezzano i pregi della democrazia e si conoscono i pericoli delle sue degenerazioni, difendere questo sistema politico, che non è perfetto come non lo sono tutte le cose umane, ma è il migliore tra quelli che nella storia abbiamo conosciuto.

Così diceva Popper: “Io affermo che il nostro mondo, il mondo delle democrazie occidentali, non è certamente il migliore di tutti i mondi pensabili o logicamente possibili, ma è tuttavia il migliore di tutti i mondi politici della cui esistenza storica siamo a conoscenza.” (Tutta la vita è risolvere problemi. Scritti sulla conoscenza, la storia e la politica, 1994)

Si pone allora l’interrogativo di come si possa mantenere, difendere e migliorare la democrazia. E’ un rilevante problema culturale che richiede la difesa dei valori fondanti della democrazia stessa, insieme all’attualizzazione delle forme e dei modi in cui si realizza e si esercita, seguendo l’evoluzione della società.

A tale proposito Max Horkheimer (Il compito culturale dei sindacati) scriveva nel 1962: “La vera democrazia è sempre più minacciata. Essa funziona più affannosamente, con maggiori attriti e difficoltà dei sistemi autoritari e totalitari perfettamente oliati e organizzati. A maggior ragione essa ha bisogno della solidarietà di tutti coloro che non vogliono più essere privati dei loro diritti.”

Come si può costruire la difesa della democrazia? Su quali basi? Con quali strumenti? E innanzitutto quali dovrebbero essere i protagonisti di questa azione di difesa? Possiamo pensare a una difesa della democrazia esercitata su diversi livelli: dalla comunità internazionale ai cittadini dei singoli Stati.

Gli Stati europei, che hanno conosciuto la dittatura e la guerra, hanno sentito l’esigenza di costruire strumenti perché questi orrori non si ripetano. Molti pensatori, a cominciare da Kant, hanno accusato la stessa idea di sovranità, se esercitata in forma dispotica, di tendere alla degenerazione verso nazionalismo e imperialismo, auspicando quindi che fosse limitata. La sovranità che non riconosce limiti è considerata il primo ostacolo alla pace, e quindi alla tutela degli individui.

L’Europa, costruita nel pensiero dei Padri fondatori e nei Trattati sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, quale baluardo contro la guerra e per la difesa e promozione dei diritti individuali e collettivi, è stata pensata come unione libera di liberi Stati, anzi di popoli, come direbbe Kant.  E’ quindi, e non può non essere, una unione di democrazie e una democrazia essa stessa. Ci sono certo pericoli, tentativi di contrapposizioni, particolarismi di interessi, ma la consapevolezza, radicata nella volontà dei singoli Stati, della natura dell’Unione Europea sembra la migliore garanzia contro sempre possibili degenerazioni, a patto di ricordare che il senso politico dell’Unione è lo spirito di libertà e solidarietà a tutela dell’interesse comune.

La difesa dei valori fondanti dell’Europa e quindi della democrazia europea, per ottenere risultati, deve però iniziare all’interno dei singoli Stati, nel tessuto sociale di cui sono costituiti in una pluralità di associazioni, movimenti e gruppi politici, sociali, economici, culturali, in competizione per diversità di interessi e obiettivi. In questo pluralismo si sostanzia, secondo Bobbio, la democrazia non solo formale, ma sostanziale, che ricomprende consenso e dissenso e ha in sé gli anticorpi contro l’abuso di potere.

Alla fine, proprio nello spirito libero e indipendente degli individui, cittadini dei diversi Stati, risiede il fondamento e la difesa della democrazia. Il loro spirito critico sarà il principale strumento di opposizione alle tendenze autocratiche del potere, le loro diversità saranno garanzia contro l’omologazione, il loro senso solidale sarà difesa contro le discriminazioni e l’ingiustizia sociale.

La difesa della democrazia e in particolare della democrazia europea è, da questo punto di vista, un problema di formazione culturale della comunità sociale, compito che coinvolge tutti i cittadini che condividono questi valori.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Autore dell'articolo: Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell′Età Contemporanea

ILSREC - Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell'Età Contemporanea. Questo Istituto, fin dalla sua fondazione nell'immediato dopoguerra persegue, con spirito di verità e rigore scientifico, lo studio e la divulgazione dei molteplici aspetti che hanno mosso e caratterizzato la Resistenza, nel quadro degli eventi che hanno drammaticamente segnato l’intera storia del Novecento.