Commemorazione Eccidio di San Martino – 14 gennaio 2023

Intervento Presidente Ilsrec Giacomo Ronzitti

Autorità, gentili ospiti, cari ragazzi,

nel rivolgere a voi tutti i più cordiali saluti a nome del Comitato Permanente della Resistenza della Provincia di Genova, consentitemi di ringraziare in particolare l’arma dei carabinieri che collabora ogni anno a realizzare questa cerimonia in ricordo degli otto martiri dell’eccidio consumato in questo luogo all’alba del 14 gennaio del 1944. Consentitemi di ringraziare, inoltre, le Istituzioni e i Comuni oggi presenti con i loro gonfaloni e, non ultimo, il Dottor Francesco Cozzi già Procuratore Capo della Repubblica, che terrà l’orazione ufficiale.

Un saluto affettuoso mi è gradito rivolgere ancora agli studenti che sono qui con noi per testimoniare la ragione e il valore della memoria storica, quale antidoto al riemergere di quelle ideologie che hanno avvelenato il Novecento e contro i nuovi nazionalismi che stanno provocando nuovi orrori e distruzioni nel cuore dell’Europa. Nazionalismi che vogliono portare indietro l’orologio della storia e piegare il popolo ucraino colpevole solo di rivendicare la propria autodeterminazione e il proprio diritto a scegliere liberamente il proprio destino.

Ma siamo qui per ricordare e rendere omaggio anche ai militi dell’arma dei carabinieri e al Tenente Avezzano Comes, i quali, col loro rifiuto di eseguire ordini ingiusti lesivi di ogni principio umanitario e del diritto, furono esempio di fedeltà al loro giuramento alla Patria che prima e sopra ogni ordinamento e gerarchia, rispondeva a quella “legge morale” che cementò la lotta di Liberazione. Una “legge” che i Costituenti vollero e seppero declinare nel dopoguerra nei principi costituzionali sui quali si fonda la nostra Repubblica, che dobbiamo custodire a beneficio nostro e delle giovani generazioni.

A buon diritto, dunque, i martiri qui caduti per mano nazifascista e la scelta dei militari dell’arma rappresentano per noi uno degli atti fondativi della nostra democrazia. E anche per tale motivo, abbiamo chiesto al Dottor Francesco Cozzi, ad un uomo delle Istituzioni, di tenere quest’anno l’orazione ufficiale.

Qui a Genova, e non solo, egli non ha bisogno di presentazioni, poiché la sua lunga carriera di magistrato e di Procuratore Capo della Repubblica ne hanno scandito la biografia di rigoroso interprete e garante di quei valori e principi che sono a base del nostro ordinamento e del nostro vivere civile per i quali tanti uomini e donne si sono sacrificati.

Per tutte queste ragioni, dunque, sentiamo il dovere di essere ancora una volta qui a rendere omaggio alle vittime della barbarie nazifascista, al coraggio dei carabinieri del Tenente Giuseppe Avezzano Comes, e per riaffermare il nostro impegno a mantenere vivi gli ideali di giustizia, libertà e rispetto della dignità umana.

 

Intervento già Procuratore Capo della Repubblica Dottor Francesco Cozzi 

Buongiorno a tutti sono onorato  ed emozionato per trovarmi qui oggi insieme a voi come cittadino e servitore dello Stato repubblicano.
La data e il  luogo,il forte di San Martino  di Genova ricordano il tragico evento per cui siamo qui, avvenuto all’ alba del  14 gennaio 1944, 79 anni fa .

Il fatto.
Gennaio del ’44: la città è occupata e controllata dalle truppe dell’esercito tedesco che domina il nord e tiene in vita la Repubblica Sociale di Salò nata tra il 18 e il 23 settembre del 43, organo politico governato da esponenti del partito fascista repubblicano pure nato il 18 settembre dopo l’armistizio dell’ otto settembre tra il Governo Badoglio e le Forze Alleate anglo americane e la fuga dal Nord del Re e dello stesso governo.

Dall’ otto ottobre il governo fascista ha decretato con Mussolini  il potere legislativo di guerra.
Genova e’ una città con un forte apparato produttivo con maestranze operaie  e apparati industriali   di alta specializzazione. Ha un ruolo  nevralgico per le forze armate tedesche, incerte tra sfruttare dette risorse in loco o trasferirle in Germania come avverrà per altri settori nel corso del 44 con i deportati civili che si uniranno agli oltre 500 mila internati militari italiani che dopo l otto settembre hanno rifiutato di arruolarsi nelle truppe della Repubblica fascista .
Gli occupanti tedeschi e i loro alleati repubblichini cercano una tregua sociale con il movimento operaio che all’ epoca conta nei soli stabilimenti del ponente cittadino oltre 50 mila persone.

La apparente pace sociale  si incrina progressivamente e non solo per la distanza ideologica ma per le condizioni di vita sempre peggiori, per i bombardamenti ,per le restrizioni di ogni genere.
Ci sono stati grandi scioperi anche a Genova a partire da novembre, seguiti da forti repressioni, basti ricordare la fucilazione degli operai Armando Maffei e Renato Luraghi del 18 dicembre, dopo lo sciopero dei ferrotramvieri  che rompono quella  politica di tregua sociale degli occupanti e dei governanti repubblichini perseguita anche con atteggiamenti volti a blandire la popolazione e il mondo operaio.

 

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E’ già in atto l’organizzazione dei nuclei di combattenti antifascisti favorita dalla fallimentare azione di reclutamento delle giovani leve chiamate alle armi da parte del governo fascista con il ministro Graziani.

In città insieme agli scioperi operai che sorprendono perfino le forze politiche antifasciste, sorgono  azioni contro gli occupanti tedeschi da parte delle formazioni partigiane anche nella zona di Genova. In particolare nel pomeriggio del 13 gennaio in via XX Settembre in occasione di un nuovo  sciopero generale una formazione dei Gap gruppi di azione patriottica di Giacomo Buranello colpisce due ufficiali tedeschi uno dei quali muore subito mentre il secondo morirà dopo pochi giorni.

Un’azione di guerra per la quale il comando tedesco inferocito chiede al capo della provincia prefetto Carlo Emanuele Basile di procedere alla rappresaglia e chiede l’esecuzione a morte di 10 ostaggi.
Basile obbedisce e costituisce un tribunale militare straordinario incaricando quale presidente il colonnello Salvatore Grimaldi Console  della milizia e comandante della Guardia nazionale repubblicana di Genova. (Il tribunale avrebbe dovuto essere presieduto dall’ufficiale più anziano del presidio il Generale De Cia assente. Mentre il colonnello Alfredo Alois comandante della regione Carabinieri non era reperibile). Nella notte Basile trova il colonnello Guido Borgogno, che nel dopoguerra si difenderà nel processo per collaborazionismo, dicendo di aver ricevuto precisi ordini dal prefetto di infliggere la condanna capitale per tutti e dieci gli ostaggi prelevati dal carcere di Marassi e di ignorare che si trattava di una rappresaglia .
Il  processo contro gli ostaggi vittime della illegittima rappresaglia nazifascista  si svolge nella notte tra il 13 e il 14 presso la sede della trentaseiesima Legione della milizia volontaria per la sicurezza nazionale in via San Nazzaro in Albaro. Il comandante della legione tenente colonnello Salvatore Grimaldi fascista convinto  aveva presieduto nel novembre precedente altri due Tribunali straordinari terminati il primo con la condanna a morte degli imputati gli operai Luraghi e Maffei prima ricordati, il secondo con la condanna a dieci anni di reclusione dell’accusato Ireneo che durante lo sciopero dei ferrotramvieri aveva staccato l asta di un tram elettrico. L’udienza viene condotta in modo sbrigativo e superficiale e gli imputati vengono condannati per aver congiurato in zona di guerra contro lo Stato. In realtà  i condannati erano detenuti tutti e dieci già prima del 13 di gennaio data  dell’azione contro gli ufficiali tedeschi per aver diffuso stampa clandestina antifascista. Pertangto erano del tutto estranei materialmente e moralmente  a quella vicenda.
Il tribunale viene convocato e decide in violazione delle regole del Codice Penale militare di guerra ed in particolare dell’articolo 283. Infatti tutto  il processo e una mostruosità giuridica perché viene convocato e disposto dal prefetto Basile che ordina come autorità di governo ai giudici di condannare per un reato non commesso 10 ostaggi senza possibilità di difesa. Non si trattava neppure di una rappresaglia perchè diretta contro prigionieri non riconosciuti neppure come belligeranti nemici. Una tragica ferocia come quella messa in atto dai nazi fascisti contro i patrioti e  la popolazione civile nei mesi precedenti e successivi.
Otto dei dieci  vengono condannati a morte per esecuzione immediata mediante fucilazione alla schiena e due vengono condannati a vent’anni di reclusione. Si tratta di Guido Carpi e di Guido Pinna  Mutilati della Prima Guerra Mondiale che saranno nel dopoguerra testimoni contro Borgogno.

Gli ostaggi vengono prelevati nelle prime ore dell’alba del 14 dalla quarta sezione del carcere di Marassi.
il Grimaldi decide di coinvolgere i Carabinieri affidando loro l’esecuzione della condanna per dare una parvenza di legalità. I Carabinieri anche in quel periodo tragico sono rimasti simbolo di legalità e di autorevolezza per la popolazione.Ma i tedeschi non si fidano di loro: i Carabinieri hanno combattuto contro di loro a Porta san Paolo a Roma,

Hanno arrestato Mussolini su ordine del Re , in un conflitto a fuoco hanno sparato a Ettore Muti il 25.7.43 nell’eseguire un ordine di arresto. Non fidandosi di loro hanno disarmato su ordine del ministro Graziani arrestato e deportato oltre duemila carabinieri solo a Roma il 7 ottobre alla vigilia della deportazione dal ghetto di oltre 1600 ebre,i temendo una loro reazione e mal ne tollerano la presenza per così dire neutrale. Ma il loro ruolo è importante anche per i tedeschi  per garantire l’ordine e la pace sociale tra e con la popolazione.

Per farlo Grimaldi agisce  con l’inganno e chiede  20 Carabinieri per un servizio di ordine pubblico. La richiesta avviene attraverso il questore Bigoni che fa arrivare in un primo tempo in questura il plotone dei 20 Carabinieri sotto il comando del Tenente di complemento Giuseppe Avezzano-Comes un giovane ufficiale già mobilitato sul fronte occidentale e nei Balcani. Il  tenente Avezzano si reca in questura dove rimane fino all’alba quando gli viene ordinato di recarsi al Forte di San Martino per un urgente servizio d’ordine. Raggiunta la località la trova deserta e abbandonata ma poco dopo vede  giungere il tenente colonnello Grimaldi con alcuni  automezzi con i condannati ed un frate e poi  altri automezzi da cui scendevano i militari della milizia e ufficiali e  sottufficiali delle SS tedesche. Gli otto prigionieri sono con i volti tumefatti per le percosse subite e con le mani legate da un filo elettrico. Il Grimaldi qualificandosi come presidente del tribunale militare e straordinario e ufficiale più elevato in grado della piazza di Genova, ordina ad Avezzano di procedere alla fucilazione degli otto traditori antifascisti per rappresaglia a seguito dell’attentato contro i due ufficiali tedeschi. A tale ordine il tenente dei Carabinieri risponde con fermezza che non l’avrebbe seguito perché lo ritiene illegittimo e che disconosce l’autorità del tribunale che ha  emesso la sentenza. La reazione dell’ufficiale dei Carabinieri sorprende il Grimaldi che rinnova l’ordine minacciandolo di morte con processo sommario. A questa intimazione il tenente risponde che non solo non intende eseguire l’ordine ma che non avrebbe permesso ai suoi Carabinieri di partecipare all’esecuzione. Di fronte a questo secondo diniego Grimaldi fa arrestare l’ufficiale dei Carabinieri da due sottufficiali della milizia e lo fa condurre in una casa matta nei pressi del forte da cui  però può assistere allo sviluppo degli avvenimenti sui quali testimonierà pubblicamente trenta anni dopo,  nel 1975..

.Il Grimaldi assume personalmente il comando del plotone dei Carabinieri, coadiuvato da tale capitano Lergiacomo. Spinge i condannati di fronte a un muro e dà l’ordine di far fuoco ma tutti i militari si rifiutano di sparare alzando i fucili in aria. Uno dei due giustiziandi il professor Bellucci che aveva rifiutato di essere bendato si volge allora ai Carabinieri dicendo loro “Ragazzi fate presto mirate dritte al cuore non mi fate più soffrire se non mi uccidete voi mi uccideranno con gli altri”. Nonostante l’ accorato invito il plotone solleva ostentatamente i moschetti, mantenendo il rifiuto di sparare.Gli altri fascisti presenti iniziano a sparare con le proprie armi contro le due vittime. Il  professor Bellucci cade fulminato mentre il secondo condannato è finito con un colpo di grazia da un altro personaggio in uniforme qualificatosi come Tenente medico della milizia . Gli altri sei Patrioti vengono ammazzati a due alla volta potendo vedere i corpi dei loro compagni massacrati in precedenza.
Finita l’operazione i nazisti si allontanano protestando con il Grimaldi. Il tenente Avezzano approfitta del momento per raggiungere il suo plotone e si può allontanare. Rientrato in caserma  distrugge l’ordine di servizio per impedire le identificazione dei militari del plotone ribelle.

I superiori del Vezzano condividono il comportamento dell’ufficiale e lo proteggono trasferendolo ad Albenga sotto la giurisdizione dell’altra prefettura. Verrà  poi sottoposto ad inchiesta formale e istruttoria penale da parte del comando generale di Brescia e deportato in Germania dove erano già destinati migliaia di Carabinieri perché poco affidabili per il regime, sequestrati  come Internati militari e non prigionieri di guerra. Riportato in Italia riuscì a fuggire e a nascondersi in Alassio ma catturato nuovamente dai fascisti fu imprigionato, sottoposto a violenza e privazioni fino alla Liberazione. Lasciata l’Arma intraprese la carriera di avvocato e nel 75 di Genova commemorò l’episodio che l’aveva visto protagonista.

Chi sono i martiri trucidati al Forte di San Martino?

Dino Bellucci di Poggibonsi  e’  professore al  liceo Colombo, ha 33 anni di .E’ il  responsabile della  stampa clandestina.
Gli è intitolata la via accanto al liceo Colombo.
Giovanni Bertora e un tipografo di 32 anni di Genova che stampa i periodici antifascisti quali Italia libera .Per questo era stato arrestato e torturato.Gli è intitolata una via vicino a via Assarotti. DEcorato di medaglia al valor militare.
Giovanni Giacalone di Castelvetrano Trapani,  straccivendolo 53 anni, ha costituito gruppi di patrioti resistenti in val Bisagno. Gli è stata intitolata una via sopra l’ impianto della Sciorba.
Romeo Guglielmetti  tramviere di  34 anni di Genova dirigente partigiano in val Bisagno. Gli e’ intitolata l’officina prima UITE oggi Amt a Staglieno e il vicino ponte.
Amedeo Lattanzi e’ il giornalaio in piazza di Negro, di anni   54. Da lì diffonde stampa antifascista come l’Unita e Italia Libera. E nato a Fermo. Nel vicino paese di Torre in Pietra gli e dedicata una lapide che ne ricorda la attività e il sacrificio. Militante antifascista da sempre gli è oggi intitolata una  strada dietro piazza di Negro
Luigi Marsano luigin saldatore elettrico di 28 anni nato a Genova. componente di cellula comunista del porto fa parte in quanto tale del cln del porto. Era stato arrestato il 4 gennaio mentre ritirava in un appartamento al Carmine medicinali per i compagni di Savona. A lui sono intitolati i giardini in val Bisagno zona san Gottardo .
Guido Mirolli di Siena oste in quartiere di  San Fruttuoso 53 anni .Nel Suo esercizio si incontravano gli anti fascisti di San Fruttuoso. Gli sono  intitolati i giardini nei pressi della palestra via Cagliari
Giovanni Veronelli di Sesto fiorentino falegname di 58 anni; combattente in Spagna contro i franchisti già al confino a Ventotene componente del Gap.
Gli è intitolato un  ponte in alta val  Bisagno.
Guido  Carpi e Guido Pinna i superstiti dei dieci, condannati a vent’anni, sopravvissero al conflitto e come detto poterono testimoniare contro il colonnello Borgogno presidente del tribunale. A costui vennero riconosciuti le attenuanti generiche per aver avuto due figli combattenti per la liberazione e fu condannato a 30 anni di reclusione morendo nell’ aprile del 46 .Il t. colonnello Grimaldi dopo regolari processi alla corte di assise straordinaria  di Genova poi annullata dalla Suprema Corte di Cassazione nel 47, fu condannato alla fucilazione alla schiena per dieci sentenze capitali di cui aveva personalmente curato l’esecuzione Ma la sentenza non venne eseguita.

Le otto vittime del 14 gennaio, secondo la testimonianza del Tenente Avezzano, affrontarono la morte sereni e coscienti, con grande dignità e coraggio senza lamenti rispondendo agli insulti del loro esecutori unicamente con il silenzio.
Il professore Bellucci, in una vicenda di guerra che esprime squallore infamia e mancanza di pietà, diede un mirabile esempio di coraggio e dignità e anche di umanità dimostrando bene la sua coerenza con gli ideali che l’avevano portato alla strada dell’antifascismo. Al contrario i carnefici danno un esempio disgustoso di efferatezza e di crudeltà inutile, al di là di ogni giustificazione apparente e formale . Viene esercitata violenza contro i prigionieri che  vengono umiliati. Viene provato un gusto personale nell’omicidio e questo purtroppo è il carattere ricorrente come ben sappiamo in tutte in tutte le vicende belliche che purtroppo ritornano attuali anche  sullo scenario della nostra Europa

A dimostrazione che la guerra è un infamia che l’ umanità dovrebbe bandire senza esitazioni.

Gli avvenimenti successivi

La feroce rappresaglia colpi duramente il movimento antifascista che ne subi il contraccolpo in città per diversi mesi; ma segna anche la definiva fine della illusione dei nazifascisti di neutralizzare la popolazione e i lavoratori isolando gli antifascisti ed anzi ne determinerà il definitivo allontanamento  dagli occupanti nazi tedeschi e dai loro alleati fascisti e il rafforzamento della determinazione nella resistenza attiva.

Scriveva il prefetto Basile “Questa notte ho riunito il Tribunale Militare Straordinario presieduto dal più alto ufficiale in grado presente nel Presidio il quale ha emanato sentenza di morte mediante fucilazione di otto rei confessi di congiura contro lo Stato in zona di operazioni e di condanna di altri due sovversivi.La sentenza e stata eseguita all’alba.”

Ma diversamente da quanto sperato dagli esecutori uno dei primi distaccamenti della Divisione partigiana Cichero prenderà il nome di Dino Bellucci come la 386 brigata SAP; a San Fruttuoso si costituira un nucleo dei GAP brigata Guido Mirolli,e a San Teodoro una brigata verrà  intitolata ad Amedeo Lattanzi e in Val Bisagno un’ altra a Romeo Guglielmetti.

La repressione culminerà con i gravissimi feroci eccidi della Benedicta del 7 aprile 44  in cui vennero trucidati dopo essere stati fatti prigionieri 75 combattenti arresisi; e in quella  del Turchino, nel maggio del 44 con 59 detenuti uccisi per rappresaglia e nella deportazione di oltre 1500 operai del giugno 44 a seguito di ulteriori scioperi.

Diversa sarà tuttavia la composizione sociale dei martiri di quegli ulteriori eccidi.

Si tratterà nella stragrande maggioranza di giovani nati e cresciuti nell’era fascista che romperanno con quella cultura dell’obbedienza e della forza,  rifiutandosi di arruolarsi per libera decisione  dietro minaccia di morte sicura, scegliendo la via della libertà e combattendo i nazifascisti fino alla Liberazione della nostra Patria.

Dunque la Resistenza nasce da patrioti e ambienti che sono sempre stati antifascisti ma si alimenterà con le giovani generazioni nate e formatesi nella cultura e nel regime fascista.

Con il comportamento tenuto si creò simbolicamente tra il tenente  Avezzano Comes e i 20 Carabinieri e gli ostaggi  un legame che va oltre il momento del supplizio.

Vogliamo pensare o sperare che come e scritto nella lapide in memoria di Amedeo Lattanzi a Torre in Pietra vicino a Fermo,sia stato di qualche conforto ai patrioti nel momento del sacrificio la lucida consapevolezza e determinazione di rifiuto dei Carabinieri di compiere il loro assassinio.

Scriverà il tenente Avezzano Comes:”Mi vennero alla mente i 140 anni di storia dell’Arma e decisi di non obbedire all’ ordine perchè lo ritenevo illegittimo “.

Alcune riflessioni

  • Questa vicenda fa intravedere i principi e i valori di una  comunità civile in  cui oggi ci riconosciamo, come bene ha ricordato anche nel discorso di saluto per il nuovo anno il nostro Presidente Mattarella.
    Una comunità basata sul rispetto della legalità, dei  diritti inalienabili della persona e della  dignità umana .

Nella quale oggi come allora al di là delle differenze di ruoli e di idee le persone che vi appartengono condividono le stesse  prospettive di diritti e di doveri e si muovono  insieme nella costruzione di un futuro comune, nel rispetto della legalità formale e sostanziale di una democrazia nata nel segno di una riconquistata libertà e fondata  sui valori di giustizia e uguaglianza .

Cosi è  più di recente  nel periodo difficile e oscuro della pandemia, ed ancora nel sostegno alle popolazioni di altri Paesi vittime di aggressioni e vessazioni.

Ma ritorniamo alla vicenda che stiamo commemorando per una ulteriore riflessione.

  • Emerge da essa il contrasto tra l’obbedienza a una legalità formale che fa velo ad atrocità e iniquità sostanziali e il senso di giustizia di legalità che si manifesta da un lato nel rifiuto del tenente e dei Carabinieri di eseguire una sentenza ritenuta manifestamente illegittima e dall’altro nel nobile comportamento degli ostaggi condannati che anche nel momento estremo della loro vita si rivolgono ai loro possibili carnefici invitandoli a eseguire l’ordine di ucciderli.
  • Ma insieme all’umanità di questi comportamenti emergono altri aspetti che nobilitano i patrioti che stiamo onorando.
    Basta leggere le parole scritte nella lettera di Luigi Marsano il saldatore antifascista di 28 anni alla mamma, dopo aver saputo della sua condanna a morte “cara madre ti ho sempre pensato

 sino all’ultima ora della vita non piangere pensa ai nipotini al padre alla famiglia alle sorelle al fratello, non so dirti altro in questo momento perdonami tuo figlio Luigi”.

Ovvero la lettera di Lattanzi :Io sottoscritto Lattanzi Amedeo, condannato a morte, lascio tutto ai miei figli Italia, Emilio, Maria e mia moglie eredi. Muoio tranquillo e a voi figlie e figlio e moglie e parenti tutti chiedo perdono di quanto soffrite per me, non lutto ma fede in Dio. A te cognato Eligio lascio la guida, e prendi in consegna il mio cadavere. Vi bacio tutti, vostro disgraziato marito e padre. Lattanzi Amedeo – Addio – Addio”

Le loro parole sono un richiamo agli affetti che pure emerge nel momento dello sgomento e del sentimento doloroso di ciò che avverrà inesorabilmente. In  quel perdonami che echeggia la stessa espressione che ritroviamo in tante lettere di condannati a morte della resistenza, percepiamo un’invocazione ai propri affetti più cari per non aver salvato se stesso e per non essere rimasto indifferente e di essersi opposto alla guerra  e al fascismo.

  • Da questa vicenda emerge poi prepotentemente il tema della responsabilità individuale.

Il gesto del tenente Avezzano Comes, quello dei Carabinieri,  l’appello del professor Bellucci, le parole  del Marsano e poi anche del Lattanzi  evidenziano in modo esemplare che la responsabilità dell’individuo è personale prima ancora che collettiva e ideologica.

In allora si manifestò con un atteggiamento di rottura etica e culturale contro la logica dell’obbedienza e del combattere. Da quei comportamenti emerge la consapevolezza che ciò che appariva legale era invece contro la legalità e contro la dignità umana.
E da questo non può che conseguire la ribellione e la disobbedienza.
I patrioti uccisi e i Carabinieri non obbediscono e lo fanno il nome di un’Italia nuova libera infinitamente diversa da quella dei repubblichini al servizio dell’occupante tedesco in un Governo che non combatte contro Forze straniere alleate ma contro la propria popolazione,  contro gli stessi italiani.
Onore e lealtà diventano per i nuovi patrioti  ideali e  principi strumentali  rispetto a quelli di libertà e umanità.

Conclusione

Dal  sacrificio di quei patrioti come da tanti altri fatti analoghi che ne seguirono, nacque la Costituzione Repubblicana in cui oggi a 75 anni dalla Sua entrata in vigore ancora e sempre ci riconosciamo. Fu scritta da Forze politiche distanti ideologicamente tra loro, cattolici comunisti socialisti azionisti liberali repubblicani che però seppero unirsi per affermare e  sancire principi e diritti che ancora oggi costituiscono un patrimonio di protezione della nostra democrazia contro qualsiasi tentativo di diminuire o violare  i diritti individuali e collettivi inalienabili e contro ogni barbarie ovunque si manifesti.

Questi luoghi come le strade le piazze i giardini intitolati alle vittime possono essere luoghi di pellegrinaggio e di riflessione specialmente per i giovani perchè resti viva la memoria e non si ripetano gli errori del passato.

Perchè la liberta e la democrazia si custodiscono si praticano si difendono e progrediscono ogni giorno e non solo nelle commemorazioni di coloro come quei martoiri  che riscattarono  con la propria vita  l’onore perduto da chi  aveva dichiarato una guerra di aggressione alleandosi con il regime nazista,  aveva approvato e applicato le leggi razziali, aveva provocato e compiuto  stragi e devastazioni contro la popolazione civile.

Perchè la libertà e la democrazia  non sono mai conquistate per sempre, ma richiedono in tutti noi e soprattutto nei giovani, impegno passione e partecipazione alle Istituzioni.

Genova 14 gennaio 2023

       

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Autore dell'articolo: Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell′Età Contemporanea

ILSREC - Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell'Età Contemporanea. Questo Istituto, fin dalla sua fondazione nell'immediato dopoguerra persegue, con spirito di verità e rigore scientifico, lo studio e la divulgazione dei molteplici aspetti che hanno mosso e caratterizzato la Resistenza, nel quadro degli eventi che hanno drammaticamente segnato l’intera storia del Novecento.