Johnson in trionfo ha trovato l’uscita

di Francesco Pierini*

 

A tre anni e mezzo dal referendum che chiedeva ai cittadini britannici di esprimersi in merito alla scelta di rimanere nell’Ue o di uscirne, gli elettori del Regno Unito si sono ritrovati lo scorso 12 dicembre a votare anticipatamente per il governo del Paese. Tutto ciò, dopo un periodo politicamente travagliato in cui molti avvenimenti legati alla gestione della Brexit e a quale tipo di uscita effettuare si sono susseguiti a partire dal giugno 2016, data del referendum in cui il leave ha prevalso sul remain.

Tra questi, ricordiamo come primo atto del percorso le dimissioni del premier conservatore David Cameron – promotore del referendum sull’Europa – seguito dal premierato di Theresa May, che sostituì Cameron dal luglio 2016 fino al luglio 2019, e alla quale spettava il compito di traghettare il Regno Unito fuori dall’Europa. Il periodo fu caratterizzato da un’incessante “tira e molla” su quale modalità di Brexit occorresse effettuare – hard o soft – fino all’ultimo atto consistente nelle dimissioni della stessa May e all’assunzione della leadership tra i Tories del controverso Boris Johnson, ex sindaco di Londra, che sconfisse l’avversario di partito Jeremy Hunt, convinto europeista, e che ricevette l’incarico dalla Regina per formare il nuovo governo il 24 luglio scorso.

Quanto accaduto dalla nomina a premier del nuovo leader conservatore è cosa nota; la promessa ai britannici di attuare la Brexit a tutti i costi, anche senza un accordo tra le parti – il cosiddetto no deal – che tanto spaventava molti per le possibili ripercussioni economiche e politiche che avrebbe prospettato al Paese.

Così, dopo vari tentativi di presentazione di date per l’ufficializzazione della Brexit e le relative bocciature in Parlamento, Johnson fece richiesta a Elisabetta II di sospendere i lavori dello stesso Parlamento per cinque settimane, il che avrebbe permesso a Johnson di fissare definitivamente la data di uscita dall’Ue senza essere ostacolato dalla proposta di legge anti No-Deal, permettendogli così di fissare al 31 ottobre la tanta agognata data per la Brexit. Dopo l’ennesimo insuccesso, attraverso il dialogo con l’Europa, Regno Unito e UE trovarono un accordo per la Brexit, ma la richiesta di tempo da parte del Parlamento per esaminare il documento portò inevitabilmente a posticipare nuovamente la data di uscita fissandola al 31 gennaio 2020. Determinato a realizzare la Brexit at all costs si accordò coi Laburisti sulla necessità di andare a nuove elezioni fissate quindi per il 12 dicembre e che lo hanno portato a una netta vittoria politica.

Il risultato ottenuto alle elezioni era piuttosto scontato o almeno prevedibile secondo i sondaggi diffusi fino alla vigilia. Con 365 seggi su 650, Johnson si è assicurato una maggioranza molto ampia mentre il Labour di Corbyn (203) ha registrato la peggiore sconfitta da decenni. Nonostante il numero di partiti in gioco in questa elezione fosse rilevante, oltre ai due storici e principali partiti di Johnson e Corbyn – antagonisti nel gioco di alternanza nel two party system – altri tre partiti andavano presi in considerazione, sulla base di possibili alleanze che in campagna elettorale sono state valutate. I Lib-Dem con Jo Swinson (in calo con soli 11 deputati), il Partito Nazionale Scozzese rappresentato da Nicola Sturgeon (che si è aggiudicato ben 48 dei 55 seggi in palio in Scozia) e il Brexit Party di Nigel Farage (che ha esaurito la sua funzione ed è rimasto a quota zero).

Se analizziamo i programmi dei quattro candidati principali – escludendo in questo caso Farage – i voti si sono giocati primariamente sulla Brexit e in secondo luogo su economia e sanità. Corbyn ha sempre proposto la rinegoziazione dell’accordo con l’Unione Europea, promettendo un nuovo referendum sulla Brexit entro sei mesi dall’elezione, avvicinandosi alla proposta dei Lib-Dem, la cui priorità era quella di invertire la rotta presa e rimanere all’interno della UE. Anche per la Sturgeon e il suo SNP il punto nodale era quello di interrompere il processo avviato nel 2016 oltre al rilancio di un nuovo referendum sull’indipendenza della Scozia.

I risultati ottenuti da Johnson sembrano poter dare una risposta definitiva alla questione Brexit che si è protratta per oltre tre anni e che richiede a questo punto una risposta definitiva. Johnson e i Conservatori hanno vinto con una maggioranza che non è mai stata così ampia dagli anni Ottanta, e lo stesso Johnson ribadisce che la vittoria costituisce il mandato a portare il Regno Unito fuori dall’Ue.

I britannici hanno sottoscritto con convinzione le parole di Boris Johnson rispetto alla necessità di proseguire con Brexit entro il 31 gennaio 2020. I voti indicano anche che i Tories conquistano terreno anche in collegi elettorali tradizionalmente laburisti, il che porta Corbyn a dire che non guiderà il partito laburista alle prossime elezioni. Lascia anche Jo Swinson, che perde il suo seggio a favore del Partito Nazionale Scozzese, il quale invece ottiene 13 seggi in più e accenna alla richiesta di un nuovo prossimo referendum sull’indipendenza.

Nel Victory Speech tenuto la mattina del 13 davanti ai suoi sostenitori, Boris Johnson ha ribadito le priorità del governo, anche attraverso lo slogan elettorale “Get Brexit done”, ma ha anche ampiamente parlato del sistema sanitario nazionale, lo NHS, riaffermando la sua intenzione di rafforzare questo fiore all’occhiello del welfare state nazionale.

Il senso di riscatto da un risultato che forse non era nemmeno ai suoi così scontato, si intuisce dalle parole che utilizza all’inizio del tributo agli elettori:

 

Good morning my friends. We did it. We did it. We pulled it off, didn’t we? We pulled it off. We broke the deadlock, we ended the gridlock, we smashed the roadblock and in this glorious pre-breakfast moment before a new dawn rises on a new day and a new government[1]

 

Con espressioni diverse manifesta il suo entusiasmo per la vittoria, ripetendo we did it (ce l’abbiamo fatta), aggiungendo we pulled it off (ci siamo riusciti), comunicando con grande impeto attraverso parole che avvalorano una vittoria faticosa. Afferma che con difficoltà “abbiamo rotto la serratura di sicurezza” (deadlock),  “abbiamo superato l’ingorgo” (gridlock) e “abbiamo distrutto il blocco stradale” (roadblock). Il riferimento al pesante percorso è evidente, ma l’ardore torna robusto nel tricolon che segue per mezzo dell’aggettivo new che proprio per tre volte accompagna le parole alba, giorno e governo.

Significativo è anche il tributo che Johnson riserva a coloro che lo hanno votato per la prima volta dichiarando che seppure costoro gli abbiano dato il voto in prestito[2] e probabilmente all’interno della cabina elettorale la loro mano abbia tremato prima di mettere la croce sul suo simbolo[3] egli farà il possibile per non deluderli e non darli per scontati.

Ora però bisogna lavorare. La data del 31 gennaio 2020 deve essere rispettata e pertanto l’accordo concluso tra Johnson e l’Ue dovrà essere votato in Parlamento. Se l’accordo non passa (ipotesi a questo punto improbabile), il Regno Unito lascerà l’Europa senza un deal, ma evidentemente, ed è opzione più auspicabile per tutti, l’accordo sarà accettato. Questo darà inizio ai colloqui per regolare gli accordi commerciali tra le due parti portando a una probabile ratifica di un trade deal entro dicembre 2020. Nel caso in cui non avvenga, si andrà incontro a un periodo supplementare di transizione; altrimenti, e più positivamente, si avvierà un nuovo ciclo storico tra le due parti, con nuove relazioni e dinamiche.

Certamente, a livello interno pesano ancora alcune questioni quali l’Irish border – il confine tra Irlanda e Irlanda del Nord – ma anche la spinta indipendentista scozzese e al momento è difficile fare previsioni in merito. Quindi occorrerà stare a vedere come Johnson riuscirà ad affrontare il “pacchetto” post-Brexit nella sua totalità. Forse la vera sfida inizia adesso.

 

* L’autore è professore associato, docente di Language, Culture and Institutions of English-Speaking Countries presso il Dipartimento di Scienze Politiche all’Università di Genova.

[1] Buongiorno amici miei. Lo abbiamo fatto. Lo abbiamo fatto. L’abbiamo fatto, vero? Ce l’abbiamo fatta. Abbiamo rotto lo stallo, abbiamo chiuso lo stallo, abbiamo rotto il posto di blocco e in questo glorioso momento prima della colazione prima che sorga una nuova alba in un nuovo giorno e un nuovo governo… (mia traduzione)

[2] …You may only have lent us your vote…

[3] … your hand may have quivered over the ballot paper as before you put your cross in the Conservative box…

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Autore dell'articolo: Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell′Età Contemporanea

ILSREC - Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell'Età Contemporanea. Questo Istituto, fin dalla sua fondazione nell'immediato dopoguerra persegue, con spirito di verità e rigore scientifico, lo studio e la divulgazione dei molteplici aspetti che hanno mosso e caratterizzato la Resistenza, nel quadro degli eventi che hanno drammaticamente segnato l’intera storia del Novecento.

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