Le cattive parole della politica cattiva

di Carlo Rognoni

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Gli intolleranti, i sessisti, i razzisti ci sono sempre stati. Negli anni passati, erano fortunatamente pochi, e generalmente  mal visti e soprattutto spesso criticati, addirittura spinti a vergognarsi di se stessi. Che cosa è cambiato oggi? Che i razzisti, i sessisti, gli intolleranti sembrano godere di una tolleranza inusitata. Usano parole e lanciano accuse che prima non si sognavano di dire. E’ come se il governo gialloverde avesse sdoganato il peggio che è dentro ad alcuni di noi.

Un esempio? Davanti all’invito di aprire i porti, un invito dettato dal buon senso e dallo spirito di tolleranza, lanciato dal palcoscenico dalla cantante Emma, un dirigente – non un cittadino qualunque – del Nord della Lega si è permesso un commento di una volgarità inaudita: apri tu le cosce, le ha gridato.

E quel maestro che ha costretto un ragazzino nero a mettersi di schiena davanti alla classe, dicendogli che era troppo brutto per farsi vedere? Sarebbe bene che non insegnasse mai più.

Il fatto è che l’allarme razzismo è suffragato da dati recenti, brutti e sconcertanti. Tre anni fa le denunce di violenze razziste erano state 27. Sono diventate 46 nel 2017 e l’anno scorso sono salite addirittura a 126. Se poi si prendono in considerazione anche i casi di “discriminazione razziale” più generici (limitandoci, per esempio, alle offese) il totale degli episodi di cui dovremmo tutti vergognarci un po’ sono 628.

C’è uno studio de “la Carta di Roma” (un documento che riguarda la deontologia giornalistica) che ha calcolato quanto spazio è stato dedicato nelle edizioni del prime time dei telegiornali di sette reti generaliste italiane (Tg1, Tg2, Tg3, Tg4, Tg5, Studio Aperto, Tg la 7) al tema migrazioni e ai protagonisti del fenomeno.

Ebbene la visibilità del fenomeno rimane molto elevata. 4068 notizie in dieci mesi, 300 in più rispetto allo stesso periodo del 2017.

Ilvo Diamanti che insegna all’Università di Urbino ha guardato con particolare attenzione alle analisi della Carta di Roma sulla presenza dell’immigrazione sui media e nell’informazione relativamente agli ultimi cinque anni. E ha scritto: “L’atteggiamento dell’informazione scivola, in modo rapido e lineare, dalla “pietà” verso la sofferenza degli “altri”, all’insofferenza, tout court”. Gli “altri” diventano quelli diversi da noi che suscitano sospetto, rifiuto. E pensare che solo cinque anni fa, l’immagine ricorrente nell’informazione mediatica richiamava Lampedusa, che era il nostro ponte, non solo un presidio sulla minaccia che incombe e preme su di noi. “Ieri era un’isola del Mare Nostrum. Oggi divenuto il Mare Mostrum”.

La politica è la scena – scrive Diamanti – il teatro dove si svolge la “commedia del migrante che si avvicina”. Tanto più in epoca di “campagna elettorale permanente”.

I migranti sono al centro di un confronto, o meglio di uno scontro politico. E di valori. Che spinge sulla leva delle emozioni. E per suscitare emozioni, funziona molto meglio la televisione della carta stampata. Senza contare che oggi meno del 20 per cento dei cittadini consulta la carta stampata, mentre ben l’87 per cento si informa attraverso la televisione.

“Inutile aggiungere – scrive Diamanti – che sulla Rete sui Social si riflette e amplifica un clima di ‘ordinario rancore!’ Perché questo? “ma perché non sono ‘media’, ma canali di comunicazione immediata. Dove tutti possono ‘comunicare’ i loro sentimenti e risentimenti, in modo continuo, rapido, diretto”.

La cattiva politica vive anche di cattive parole. E non dimentichiamo che la parola che ha aperto la strada al rifiuto senza precedenti delle autorità italiane di accogliere i naufraghi nei porti italiani, è la parola “pacchia”. La introduce il neoministro dell’Interno Matteo Salvini. È  il 2 giugno e Salvini in una piazza di Vicenza afferma: “Per i clandestini la pacchia è strafinita”. In una frase sola c’è il corredo completo della mistificazione e della distorsione della realtà che la politica produce costantemente quando parla di migranti”. E’ un giornalista, Valerio Cataldi, a dirlo nella sua qualità di presidente dell’Associazione Carta di Roma.

“La percezione che abbiamo del fenomeno migratorio cambia gli umori, genera paura. E quella percezione è fondata sulla distorsione della realtà veicolata da parole come clandestino, come invasione”. Non dimentichiamo che parole come “invasione” sono lontanissime dalla realtà oggettiva. Anche mettendo insieme gli arrivi degli ultimi cinque anni non si riuscirebbe a riempire piazza San Giovanni, come sa fare un semplice concertone del Primo Maggio.

Ora la parola “pacchia” – non dimentichiamolo, in fondo basta guardare un buon vocabolario – vuol dire “mangiare con ingordigia”, ed è usata per indicare una condizione di vita facile e spensierata.

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Autore dell'articolo: Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell′Età Contemporanea

ILSREC - Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell'Età Contemporanea. Questo Istituto, fin dalla sua fondazione nell'immediato dopoguerra persegue, con spirito di verità e rigore scientifico, lo studio e la divulgazione dei molteplici aspetti che hanno mosso e caratterizzato la Resistenza, nel quadro degli eventi che hanno drammaticamente segnato l’intera storia del Novecento.

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