La Storia non è mai scritta una volta per tutte e ogni storico deve sempre essere disponibile a riesaminare i fatti di fronte a nuovi documenti e inedite fonti documentali. Ovvietà per storici seri.
Giampaolo Pansa, però, del rigore metodologico non sa che farsene, perché il suo intento è quello di sostenere una tesi “a prescindere” e di presentarsi al grande pubblico come il paladino che lotta strenuamente per affermare la verità contro la menzogna, l’indipendenza di giudizio contro il conformismo, il coraggio contro la viltà. Coerente con tale approccio, egli ha rielaborato il vecchio e grottesco teorema sull’oscura morte di “Bisagno”, nel suo ultimo libro Uccidete il comandante bianco. Un mistero nella Resistenza.
Una morte accidentale, come hanno testimoniato i suoi partigiani e compagni di viaggio, unici testimoni oculari, ma ritenuta sospetta da quanti, solo su illazioni e supposizioni, hanno invece ipotizzato un omicidio simulato per far fuori un partigiano “bianco”, divenuto scomodo nelle settimane successive alla Liberazione.
Egli prende l’accetta in mano e vibra fendenti, mirando a un solo ed unico obiettivo: smascherare le menzogne sulla morte di “Bisagno” e ripristinare finalmente la “verità”.
Prove documentali? Fonti inedite che possano legittimare la versione del criminale complotto sotto l’egida comunista? Nessuna, ma questo è ininfluente rispetto ai suoi fini. Per lui sono sufficienti le private conversazioni avute con il conterraneo “narratore” – ora defunto – Giuseppe Mazzucco o le narrazioni di Elvezio Massai, “Santo”: le “voci e i sentiti dire” diventano fonti incontrovertibili a sostegno della tesi dell’omicidio.
Non è così che si fa la storia. La vicenda dolorosa della morte di “Bisagno” per la sua stessa singolarità (modalità dell’incidente, insolito comportamento di Gastaldi, non effettuazione dell’autopsia) può dar adito a legittime domande ma inaccettabile risulta il tentativo di tramutare sospetti in certezze, fondare verità sui “relata refero”, costruire teoremi frutto di ideologiche e pregiudiziali premesse.
L’ILSREC custodisce le testimonianze autografe dei partigiani che accompagnarono “Bisagno” ed è sempre disponibile al confronto sulla base di documenti inediti, di fatti nuovi e verificabili. Il resto appartiene semplicemente al campo del pregiudizio e della speculazione strumentale.
Nella sua intervista al “Corriere” Pansa ha detto, infine, che vuole riscrivere l’intera storia della Resistenza, accusando l’intera comunità degli storici professionali di “partigianeria e unilateralità”. È un suo diritto legittimo.
Ma per questo suo scopo non usi strumentalmente la nobile figura di Aldo Gastaldi “Bisagno”.
Non infanghi la memoria di chi ha combattuto per consentire anche a lui di pensare e scrivere in piena libertà.
Giacomo Ronzitti
Presidente Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea