Perché il fascismo è sempre un reato

di Carlo Brusco

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La recente aggressione, avvenuta a Roma il 7 gennaio 2019, nei confronti di un giornalista (Federico Marconi) e di un fotoreporter (Paolo Marchetti) che stavano svolgendo il loro lavoro per conto de L’Espresso – nel corso di una manifestazione pubblica organizzata da Avanguardia nazionale – ripropone per l’ennesima volta, nel nostro Paese, il problema della repressione dell’attività delle forze neofasciste.

In questo caso abbiamo avuto una vera e propria aggressione con atti di violenza alle persone e sottrazione di beni personali che solo l’intervento (tardivo) delle forze di polizia ha consentito di far cessare. Per reprimere e punire questi atti neppure vi sarebbe bisogno di una normativa speciale riguardante le forze neofasciste.

Il problema è però che, anche in mancanza di atti di violenza o intimidazione, già oggi determinate manifestazioni di carattere neofascista possono, e devono, essere represse – in base alle leggi Scelba e Mancino – prima che degenerino in atti di violenza o intimidazione.

Prevengo un’obiezione che viene spesso avanzata anche da intellettuali che non si riconoscono certamente negli orientamenti portati avanti dai movimenti di estrema destra (vedi ad esempio Massimo Fini ne Il fatto quotidiano del 5 agosto 2018). La premessa di questo ragionamento è ineccepibile: non si processano i sentimenti! Aggiungerei che non si processano neppure le idee, per inaccettabili e turpi che siano, e neanche la loro espressione. Quel che va colpito sono i comportamenti.

Bene: non mi sembra che la legge Scelba, quando sanziona la riorganizzazione del disciolto partito fascista, punisca sentimenti o idee che fanno riferimento al partito fascista perché l’art. 1 della legge precisa che questa riorganizzazione si ha quando un movimento “persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione”.

Insomma, dice lo Stato al cittadino: tu sul regime fascista puoi pensarla come vuoi ed esprimere le tue idee su questa fase della nostra storia. Puoi anche aspirare ad un modello di Stato che riproduca quello che la storia ha condannato (sta qui la differenza tra lo Stato democratico – che, nonostante tutto, rispetta il tuo pensiero – e quello a cui tu aspiri).

Quello che non puoi fare è perseguire concretamente quelle che sono state le finalità antidemocratiche del passato regime con l’uso della violenza anche solo minacciata. Che c’entra questo con i sentimenti o con le idee? Lo stato democratico è tenuto a rispettarli ma non se i tuoi comportamenti concreti sono diretti ad eliminare quelle libertà che io garantisco anche a te.

E lo stesso vale anche per altri reati previsti dalla legge Scelba che punisce l’apologia del fascismo (cioè la pubblica esaltazione) di principi, fatti o metodi del fascismo e il compimento pubblico di manifestazioni usuali al medesimo partito: non dunque la condivisione di quel regime e dei suoi principi ma la loro pubblica esaltazione o l’espressione in pubblico di manifestazioni ad esso usuali.

Non diverso è il ragionamento per quanto riguarda la legge Mancino che non punisce sentimenti o idee ma la diffusione di “idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero incita a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi” ovvero “incita a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali” ecc.

Anche qui: che c’entrano sentimenti o le idee? Se io sono convinto dell’inferiorità dei “negri” posso pensarlo e dirlo; ma non posso propagandare queste idee o istigare alle discriminazioni o organizzare movimenti con questi scopi. Certo, in questo caso il termine usato dalla legge (diffusione) può mantenere un margine di ambiguità ma credo sia sufficiente precisare che la diffusione è qualcosa di più, e di diverso, rispetto alla semplice manifestazione o espressione del pensiero (diffondere non equivale ad esprimere). E quando vediamo decine o centinaia di persone col braccio levato nel saluto fascista non viene il dubbio che ci troviamo in presenza della “diffusione” di un messaggio ben preciso?

Faccio un altro esempio concreto anche se ben più datato: sono passati pochi mesi dall’80° anniversario dell’emanazione delle leggi razziali. Poiché il regime fascista è stato anche questo, lo Stato democratico può anche consentire che qualcuno condivida giudizi positivi su questa vergogna normativa che chiunque può anche affermare di condividere.

Quello che non si può consentire è invece la diffusione di queste idee e che si propagandi il divieto per gli ebrei della possibilità di iscrivere i figli alle scuole pubbliche e anche private; la destituzione degli ebrei dai pubblici impieghi e da alcun impieghi privati; il divieto di svolgimento delle attività professionali autonome e di certe attività d’impresa; la limitazione del diritto di proprietà di terreni e fabbricati. Perché questo (tra le altre infami previsioni) sono state le leggi razziali del 1938.

E allora poiché incombe sul ministro dell’Interno prevenire non solo intimidazioni e atti di violenza ma anche la diffusione delle idee alle quali abbiano accennato credo che non sia sufficiente accontentarsi di una generica manifestazione di disapprovazione da parte degli organi di governo ma occorre sollecitare perché si intervenga nei limiti consentiti dalla legge contro queste manifestazioni.

 

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Autore dell'articolo: Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell′Età Contemporanea

ILSREC - Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell'Età Contemporanea. Questo Istituto, fin dalla sua fondazione nell'immediato dopoguerra persegue, con spirito di verità e rigore scientifico, lo studio e la divulgazione dei molteplici aspetti che hanno mosso e caratterizzato la Resistenza, nel quadro degli eventi che hanno drammaticamente segnato l’intera storia del Novecento.