Stiamo tornando al Medioevo?
di Carlo Rognoni
Per quanto possa sembrare una provocazione, un paradosso, lontano dalla realtà che pensiamo di conoscere, i due fenomeni della globalizzazione che oggi più condizionano il nostro modo di leggere il mondo, di vivere i rapporti sociali, ossia la rivoluzione digitale (che vuol dire la fine del sistema delle comunicazioni così come le avevamo sperimentate, conosciute finora) e la rivoluzione finanziaria (che della rivoluzione digitale si nutre) sono all’origine della crisi di due capisaldi dell’Occidente: gli Stati Nazione e la democrazia.
Il che – molto banalmente – vuol dire che in crisi è la politica così come l’avevamo praticata nell’ultimo mezzo secolo.
Non sono più i singoli Stati i protagonisti del vivere sociale, in particolare dell’economia, bensì sono le multinazionali che dettano legge, condizionano l’esistenza dei singoli. E nel nuovo scenario chi fa politica ha perso potere, ha perso cioè la capacità di incidere sul benessere delle proprie comunità di riferimento. Il modello degli Stati nazionali, modello che nasce con la pace di Westfalia, non regge più davanti alla globalizzazione. Primo evidente risultato: la politica nazionale gira a vuoto nella ricerca di soluzioni credibili, condivisibili, forti e rassicuranti, gira a vuoto nel tentativo di dare risposte ai bisogni accresciuti dei propri cittadini.
La perdita di potere dei governi nazionali si porta appresso come primo evidentissimo effetto la crisi della democrazia. Ovvero la crisi del sistema della rappresentanza.
E’ la fine di un’epoca. Ed è in questo contesto che dovrebbero essere letti, per esempio, i disordini della Catalogna.
La voglia dei catalani di staccarsi dalla Spagna ci dice che sta crescendo in quel Paese la voglia di avere una propria piccola patria, perché la Grande Patria viene vissuta come incapace di dare risposte, più impegnata a tassare i propri cittadini che a distribuire benessere, crescita, sviluppo.
Ora il fronte delle piccole patrie non riguarda solo la Spagna. Pensate alla Scozia, che non vuole condividere la scelta della Brexit. Pensate al Veneto e alla Lombardia che si sono inventate un inutile referendum per l’autonomia. Pensate alla Baviera, che manifesta soddisfazione per lo scarso risultato elettorale della Merkel, immaginando così di costringerla a cambiare molte decisioni politiche prese in passato.
Si mette in discussione, nelle scelte estreme, il processo unitario di formazione degli Stati nazionali, nella prospettiva di una sorta di neomedievalismo, dove l’Europa dovrebbe fungere da orizzonte imperiale?
Come si fa politica in uno scenario neomedioevale?
E’ giusto resistere nella difesa degli Stati Nazione? La Spagna fa bene a tentare il tutto per tutto per impedire di dare più autonomia alla Catalogna? E l’Europa che ruolo nuovo dovrebbe ricavarsi davanti alle spinte crescenti di cambiamento che oscillano fra la contestazione dura e pura dell’Unione e la ricerca di dare invece più potere a un governo europeo centrale, magari con l’elezione diretta del presidente dell’Unione? E come si risponde alla strapotere di quelle 200 multinazionali (o poco più) che annullano le capacità delle forze politiche nazionali di governare alcunché?
In particolare sul tema delle multinazionali che condizionano il mondo e che sono governate da “grandi manager non eletti da nessuno” il politologo Giorgio Galli ha scritto per noi un testo che merita di essere meditato. Avanza proposte che possono sembrare assurde – come quella che i grandi manager delle multinazionali che hanno in mano le nostre vite – forse dovremmo trovare il mondo di eleggerli noi. Altrimenti è la democrazia che paga pegno! E proprio sul tema della democrazia, della crisi della politica, ospitiamo un intervento del filosofo Sebastiano Maffettone. Sia l’intervento di Galli sia quello di Maffettone li ritroveremo più sviluppati e approfonditi nel prossimo numero di “Storia e Memoria”.