Partiti e simboli tra il Novecento e il Nulla – di Marco Peschiera

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Qualcuno, memore delle antiche fortune, ci ha provato con lo Scudo Crociato della Democrazia cristiana. Qualcun altro, ispirato da recenti sommovimenti gastrici, ha invece tentato di riaccendere la Fiamma del Movimento sociale italiano. Antiche e mai risolte diatribe sulla proprietà di questi simboli del Ventesimo secolo impediscono però di utilizzarli nelle elezioni del Ventunesimo. Lo Scudo e Fiamma resistono però, ridotti in piccolo e con diverse forme grafiche, in alcune variopinte liste.

Il ministero dell’Interno aveva invece accettato una rivisitazione grafica dei liberali e il simbolo del Psi, che però non era quello storico: era il Garofano craxiano. Ma poi le liste non sono state presentate. Fallita anche l’idea di riesumare il Sole dei socialdemocratici.

Se qualcuno proprio rimpiange i partiti di una volta, si potrà però consolare con l’Edera del piccolo ma glorioso Partito repubblicano

Un simulacro del Novecento resiste in una lista che si fa chiamare Partito comunista e, unica nella nutrita collezione di simboli presentati per le Politiche del 4 marzo, esibisce una falce-martello-con-stella su bandiera rossa che richiama da vicino il vecchio Pci.

Una soltanto: trenta o quaranta anni fa, di falce-martello sulle schede elettorali ce n’erano invece così tante, sia pure in numerose variazioni grafiche, che il Pci era costretto, per difendere il suo marchio ed evitare confusioni, letteralmente a correre per primo a presentare le liste, in modo da ottenere sulla scheda il primo simbolo in alto a sinistra. Usanza caduta in disuso quando la legge impose che l’ordine dei simboli fosse deciso per sorteggio. Ma ormai la falce non si usa più nemmeno per curare il giardino, e il martello serve soltanto per appendere i quadri in salotto. Così anche il simbolo politico è diventato oggetto di antiquariato.

Finita l’epoca nella quale il simbolo esprimeva vasti programmi ed evocava a colpo d’occhio potenti ideali, ci si è con il tempo rassegnati a consultare la scheda elettorale come il citofono di un condominio: numerosi sedicenti leader grandi o piccini hanno negli anni proposto agli elettori, invece degli ideali, il proprio banalissimo cognome.

Questa consuetudine fu introdotta due o tre leggi elettorali fa ma è stata resa del tutto superflua dall’attuale sistema (che non prevede l’indicazione di un candidato presidente del Consiglio). Resiste però come sotterfugio acchiappa-gonzi.

All’immarcescibile Berlusconi presidente (il quale peraltro è interdetto a ogni carica, in quanto conclamato e condannato frodatore fiscale) si contrappone così un ambizioso Salvini premier che ha ereditato per motivi giudiziari lo Spadone di Bossi ma anche un carroccio di debiti. Nella gara a destra esordisce la borgatara Meloni mentre dall’altra parte ci sono l’ondivaga ministra Lorenzin e la Bonino all’ennesima battaglia radicale. In fondo a sinistra c’è il (quasi ex) presidente del Senato Piero Grasso che però, a dispetto del suo cognome, lo scrive in caratteri molto piccoli. Il Pd non fa nemmeno finta: niente nomi, e rare idee.

 

Per molteplici e diversi motivi sono invece scomparsi le liste e i nomi di Fini, Di Pietro, Bersani e Monti, leader decaduti, e di Ingroia, che leader non è mai stato. È sparito perfino Beppe Grillo che se la tirava da uomo moderno e si firmava sulla scheda con l’indirizzo internet: beppegrillo.it.

 

Hanno provato a ripresentarsi, stavolta senza successo, gli immortali Pensionati (comunque beati loro, commenteranno i coatti della legge Fornero) e sono apparse numerose liste di buontemponi del genere Viva la fisica, Free flights to Italy, Movimento gente onesta, Italia nel cuore,10 volte meglio, Sacro Romano Impero Cattolico, No riforma forense, La luce del Sud. Non se ne avvertiva la mancanza e comunque pochissime sono state ammesse. Tanto per stare al passo con i tempi, fioriscono sulla scheda partiti e movimenti di tipo fascista che però tali non possono ufficialmente dichiararsi: il Fascio (almeno per adesso: tra qualche tempo vedremo) è ancora fuorilegge.

 

Peraltro, il Novecento è duro a morire anche quanto a tecniche di decisione e di comunicazione. Nel secolo di internet, infatti, esiste ancora un solo sistema riconosciuto per proporre i simboli politici e sottoporli alla verifica di legittimità, prima di poterli presentare ufficialmente:“I contrassegni depositati sono esposti nelle bacheche collocate al piano terra del Viminale”, recita il sito web del ministero dell’Interno.

Per cui in primo luogo occorre che qualcuno vada al Viminale, prestigioso e austero edificio progettato e costruito in epoca giolittiana ma inaugurato da Mussolini, scatti una fotografia alle bacheche e poi si ricordi di diffonderla in Rete. Soltanto dopo tutte le procedure ufficiali il ministero inserisce nel suo sito tutte le liste e i simboli ammessi, alla voce “elezioni trasparenti”.

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Autore dell'articolo: Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell′Età Contemporanea

ILSREC - Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell'Età Contemporanea. Questo Istituto, fin dalla sua fondazione nell'immediato dopoguerra persegue, con spirito di verità e rigore scientifico, lo studio e la divulgazione dei molteplici aspetti che hanno mosso e caratterizzato la Resistenza, nel quadro degli eventi che hanno drammaticamente segnato l’intera storia del Novecento.