L’interesse nei confronti del fenomeno dell’astensione si è affermato in maniera quasi contemporanea negli Stati Uniti e in Europa sostenuto da un vivace dibattito sul rapporto fra democrazia e partecipazione al voto. Gli autori statunitensi hanno spesso messo in evidenza come in una democrazia stabile non vi fosse necessità di un’elevata affluenza alle urne poiché il grado di cultura politica permetteva ai cittadini meno “consapevoli” di delegarne altri più informati e più attivi (Almond e Verba, 1963). Con ciò, quindi, veniva messa in evidenza l’esistenza di un gruppo di elettori più o meno mobilitati, a fianco di un altro, spesso di maggiori dimensioni, incapaci non solo di un coinvolgimento diretto ma, soprattutto, carenti di un diffuso sentimento di fiducia verso la società e rispetto per le istituzioni (Ibidem). Gli studi condotti in Europa, invece, hanno fornito una diversa interpretazione complessiva. Duverger (1954), ad esempio, considerava l’elevato tasso di partecipazione elettorale come un segnale di buon funzionamento della democrazia e, allo stesso modo, anche Lipset (1963) riteneva come l’esistenza dei partiti di classe fortemente strutturati fosse un fattore decisivo nell’alta affluenza elettorale.
In Italia, l’affluenza è stata sempre piuttosto elevata pur in presenza di un basso livello di cultura politica (Rokkan, 1970). La contrapposizione fra cultura cattolica e comunista, fino a quando è durata, ha permesso di coinvolgere quei settori di popolazione potenzialmente estranei alla politica, garantendo stabilità nel recarsi a votare e nelle successive scelte di voto. A partire dagli anni Ottanta, dopo decenni in cui la partecipazione al voto ha superato ampiamente il 90% degli aventi diritto, l’astensione ha, però, iniziato a crescere in maniera costante, in concomitanza con l’inizio di una nuova fase sociale e politica nella quale si assisteva da una parte alla frammentazione dell’offerta politica e alla nascita di single issue parties con istanze monotematiche o localistiche, dall’altra a comportamenti di voto non più cristallizzati e classificabili unicamente attraverso le dinamiche di classe (Corbetta et al. 1988). Per la prima volta dal dopoguerra, la partecipazione al voto in occasione delle elezioni politiche è scesa ampiamente sotto la soglia simbolica dell’80%, sino al 75,1% (fig. 1). Si tratta di un risultato indubbiamente importante per le dimensioni del declino: circa 5 punti percentuali in meno rispetto alle precedenti elezioni politiche del 2008, che si traduce nella perdita di oltre 2 milioni e mezzo di votanti a fronte di una sostanziale stabilità del numero di elettori. Negli ultimi decenni la quota di chi ha disertato le urne in Italia è cresciuta quasi ininterrottamente, passando alle elezioni politiche da una percentuale attorno al 6% durante gli anni Settanta a valori tre o quattro volte superiori. Tuttavia, l’incremento registrato tra il 2008 e il 2013 (+28%) ha pochi eguali nella storia elettorale del dopoguerra.
E pensare, che nel confronto con gli altri stati europei, l’Italia si è a lungo qualificata come un paese ad elevato tasso di partecipazione, sebbene le dinamiche innescate dalla crisi economica abbiano contribuito ad allargare le differenze all’interno dello scenario europeo, investendo anche l’Italia. Se si guarda alle ultime tornate elettorali per il rinnovo dei parlamenti nazionali, tenutesi in anni diversi ma tutte durante la fase di insorgenza o recrudescenza della crisi, emerge una contrapposizione piuttosto netta tra paesi del Nord e del Sud-Europa.
Le elezioni italiane confermano, ad esempio, un’evoluzione preoccupante del non voto, similmente a quanto avvenuto per altri paesi mediterranei come la Grecia e la Spagna, mentre in altri contesti nazionali la tendenza appare meno pronunciata o addirittura invertita, con una risalita della partecipazione.
Dai dati presenti in tab.1, possiamo osservare che, a parte le due elezioni immediatamente successive alla Seconda guerra mondiale, la storia elettorale genovese si articola lungo un primo ventennio nel quale la partecipazione elettorale risulta essere lievemente superiore rispetto alla media nazionale seguita da un successivo periodo di performance ben al di sotto della stessa. Dal 1948 al 1979, infatti, gli scostamenti rispetto alla media “Italia” mostrano tutti segno positivo (dallo 0,4 all’1,1%) mentre dal 1983 al 1994 le differenze cambiano orientamento, andando dal -1,0 al -1,7%. Tra il 1996 e il 2001, un breve periodo di tregua con scostamenti che tornano positivi e superano (di poco) la media nazionale nel 1996 (+0,4%) e 2001 (+0,1%) per poi ricaderne al di sotto nelle tornate successive, con particolare enfasi nel 2008 dove arriva a -4,6 punti al di sotto del già contenuto trend nazionale, per poi recuperare (pur rimanendo sempre in negativo) nel 2013 grazie a un -0,5%.
Tab.1 – Andamento della partecipazione elettorale in Italia e in Liguria (elezioni politiche)
Anno | Italia | Genova | Differenza |
1948 | 92,2 | 91,4 | -0,8 |
1953 | 93,8 | 93,8 | 0,0 |
1958 | 93,8 | 94,2 | 0,4 |
1963 | 92,9 | 93,6 | 0,7 |
1968 | 92,8 | 93,4 | 0,6 |
1972 | 93,2 | 94,1 | 0,9 |
1976 | 93,4 | 94,5 | 1,1 |
1979 | 90,6 | 91,6 | 1,0 |
1983 | 88,0 | 86,3 | -1,7 |
1987 | 88,8 | 87,8 | -1,0 |
1992 | 87,4 | 85,9 | -1,5 |
1994 | 86,3 | 84,7 | -1,6 |
1996 | 82,9 | 83,3 | 0,4 |
2001 | 81,4 | 81,5 | 0,1 |
2006 | 83,6 | 81,4 | -2,2 |
2008 | 80,5 | 75,9 | -4,6 |
2013 | 75,2 | 74,7 | -0,5 |
Fonte: elaborazioni proprie su dati del Ministero dell’Interno
Prima che la città fosse divisa negli attuali 9 municipi, Genova contava 25 circoscrizioni che si sviluppavano lungo l’asse ponente (Voltri) – levante (Nervi) e lungo le due valli che collegano la città con l’entroterra i cui estremi sono rappresentati da Pontedecimo e Struppa. Alla pari del voto anche la partecipazione manifesta delle differenze più o meno sensibili nelle diverse zone di Genova. Scegliendo come riferimento l’ultima tornata elettorale del 2013, misureremo il grado di partecipazione/astensione utilizzando un semplice scostamento dalla media fra il tasso di voto nella singola circoscrizione e il totale cittadino (tab.2). In questo modo, per esempio, nella zona Prà il valore di 5,7 punti ci indica che gli elettori residenti in quella circoscrizione si sono astenuti in misura superiore alla media cittadina di quasi 6 punti percentuali, mentre l’esatto opposto avviene a Portoria dove l’astensione è inferiore al totale cittadino di 5,8 punti.
Tab. 2 – Andamento dell’astensione 2013 nelle 25 circoscrizioni–
Scostamenti rispetto alla media cittadina
ASTENSIONE | |
Pra | 5,7 |
Cornigliano | 4,8 |
Bolzaneto | 4,5 |
Sampierdarena | 3,1 |
Staglieno | 2,3 |
Oregina – Lagaccio | 2,3 |
Struppa | 2,3 |
Rivarolo | 2,2 |
Molassana | 2 |
Pre – Molo – Maddalena | 1,5 |
Pontedecimo | 1,5 |
Marassi | 1 |
S. Fruttuoso | 0,8 |
Valle Sturla | 0 |
S. Teodoro | -0,8 |
Sestri | -1 |
Voltri | -1 |
S. Martino | -2 |
Sturla-Quarto | -2,4 |
Nervi- Quinto- S. Ilario | -2,9 |
Pegli | -3,7 |
Foce | -4,2 |
Castelletto | -4,2 |
S. Francesco D’Albaro | -4,3 |
Portoria | -5,8 |
Fonte: elaborazioni proprie su dati elettorali del Comune di Genova
Dopo una prima analisi dei dati sulla partecipazione elettorale è possibile allargare la visuale introducendo alcune variabili relative al Censimento 2011 nel Comune di Genova ovvero la percentuale di abitazioni di proprietà, l’età degli elettori residenti, il titolo di studio, il luogo di nascita dei residenti registrati all’anagrafe comunale e il tasso di proprietà di immobili. Innanzitutto effettuando una correlazione fra le variabili citate è possibile osservare l’esistenza di una relazione negativa fra l’astensione e le seguenti variabili:
- Età degli elettori (al crescere dell’età diminuisce l’astensione)
- Numero di nativi genovesi (al crescere del numero di nativi diminuisce l’astensione)
- Livello di istruzione (al crescere del livello di istruzione diminuisce l’astensione)
- Tasso di proprietà delle case (al crescere della percentuale di proprietari diminuisce l’astensione)
- Numero di immigrati extracomunitari residenti (al crescere della percentuale di extracomunitari cresce l’astensione)
Fonte: elaborazioni proprie su dati elettorali del Comune di Genova
Dalle tabelle si può notare, quindi, una più elevata polarizzazione dei vincoli fra le variabili riconducibili all’esplosione della crisi economica, i cui risvolti prendono due direzioni. Da una parte, lungo l’asse anagrafico vale ancora (e molto) la concezione del voto come dovere civico, che stimola la partecipazione anche in presenza di bassi livelli di informazione, competenza fiducia ed efficacia politica (Mannheimer e Sani, 2001). Dall’altra, facendo riferimento al modello centro-periferia, nel quale la marginalità è legata alle risorse socio-economiche disponibili e operativizzata (nel nostro caso) dal numero di case di proprietà, il livello di istruzione e il numero di genovesi/extracomunitari residenti in zona, possiamo osservare come queste variabili correlino in maniera significativa con l’affluenza. A questo proposito diversi autori, uno dei quali è Putnam (2000) hanno dimostrato che laddove persistono forme di socialità comunitaria omogenea (vicinati, quartieri), abitate da residenti nativi e di lunga durata, vi è un più attivo dibattito politico e la partecipazione elettorale è sensibilmente maggiore.
A questo punto, quindi, non rimane che interrogarsi sul futuro e su cosa ci attenderà alla prossima tornata elettorale. Diverse ricerche parlano di un possibile calo della partecipazione fino al 60%. Sebbene un livello del genere sia all’ordine del giorno in altri paesi, soprattutto quelli anglo-sassoni, questo col tempo porterebbe ad una sotto rappresentazione politica di determinate fasce della popolazione (quelle più svantaggiate) che vedrebbero drasticamente ridotta la propria influenza sulle policy (Lijphart, 1997).