Spunti di riflessione e appunti di viaggio tra le mura di casa, nei giorni del coronavirus
di Giacomo Ronzitti
Presidente Ilsrec “Raimondo Ricci”
Genova, 18 marzo 2020
Care amiche e cari amici,
ho sentito il bisogno di scrivere e inviarvi queste poche annotazioni, un po’ sparse e solo abbozzate, ma spontanee e sincere, a me, comunque, utili per cercare di riordinare i pensieri in questi giorni di spaesamento collettivo.
Le avevo scritte per mia memoria, ma ho pensato, poi, di condividerle con voi, poiché riguardano, in buona parte, aspetti e informazioni inerenti il nostro comune impegno, che mi auguro possa essere ripreso al più presto. Per tale ragione ritengo giusto partire dal giorno in cui ci siamo incontrati l’ultima volta, prima di sospendere le nostre attività.
Sembra essere passato molto tempo, ma è trascorsa poco più di una settimana da quando, nel pieno rispetto delle disposizioni governative e dell’ISS, abbiamo tenuto l’Assemblea dei soci dell’Istituto per l’adempimento improcrastinabile di atti obbligatori previsti da norme statutarie e di legge. Lo stesso giorno però, anticipando le nuove prescrizioni, abbiamo deciso la chiusura completa dell’Ilsrec, adottando il più possibile il tele-lavoro per salvaguardare la salute dei nostri dirigenti e collaboratori. Già prima, tuttavia, avevamo interrotto ogni iniziativa pubblica, in particolare quelle che prevedevano la partecipazione degli studenti universitari e delle scuole medie superiori.
Con grande dispiacere abbiamo dovuto rinviare “sine die” progetti didattici già avviati per il 75° della Liberazione, cui avevano aderito decine di scuole della nostra regione.
Tra questi, ricordo quello dedicato a Sandro Pertini, nel 30° della sua scomparsa, realizzato insieme agli Istituti di Savona e Imperia, con l’entusiastica partecipazione, tra gli altri, degli allievi e dei docenti dell’Istituto genovese che porta il nome del nostro illustre conterraneo.
Allo stesso tempo abbiamo dovuto aggiornare il progetto intitolato “Registi per un giorno”, che proponeva ai nostri giovani studenti la realizzazione di elaborati-video su figure e momenti della Resistenza europea, da cui nasce il “sogno” di un’Europa fondata sullo Stato di diritto e sui diritti inviolabili della persona. Un percorso iniziato nell’80° dell’emanazione delle leggi razziali, che si chiuse con la straordinaria e commovente testimonianza di Liliana Segre.
Il nuovo proponimento avrebbe dovuto concludersi, significativamente, con un incontro-confronto tra gli studenti delle varie provincie liguri con Laura Wronovki, nipote di Giacomo Matteotti e giovane partigiana appartenente alla formazione di “Giustizia e Libertà” operante nel Tigullio, e con David Sassoli, Presidente del Parlamento Europeo.
Il 75° della firma dell’atto di resa delle forze germaniche al Cln-Liguria, inoltre, ci aveva indotto a ripubblicare i memoriali di tre protagonisti di quella storica firma su un numero speciale di “Storia e Memoria”, la rivista semestrale del nostro istituto. Un volume che insieme alle memorie di Günther Meinhold, comandante delle truppe tedesche, di Remo Scappini, presidente del Cln-Liguria e del Prof. Carmine Alfredo Romanzi, “ambasciatore-partigiano”, futuro Rettore dell’Università di Genova, raccoglie documenti del tempo, conservati nel nostro archivio, per meglio far comprendere il contesto nel quale si svolsero quelle decisive trattative volte a salvare Genova e il suo porto da ulteriori e irreparabili distruzioni.
La rivista, tradotta per la prima volta anche in tedesco e inglese, avrebbe dovuto essere presentata il pomeriggio del 24 di aprile a Villa Migone insieme al sindaco Marco Bucci, al presidente della Regione Giovanni Toti, al presidente del Consiglio Superiore della Magistratura Davide Ermini e alle autorità civili e militari. Per quella occasione aveva assicurato la sua presenza S.E. Cardinale Arcivescovo Angelo Bagnasco e il suo intervento avrebbe di certo assunto un particolare significato, anche in omaggio al ruolo avuto in quel frangente dal suo eminentissimo predecessore Cardinale Pietro Boetto, nella cui residenza temporanea venne firmata la resa.
Per le stesse ragioni legate all’emergenza coronavirus, abbiamo dovuto rinviare a “dopo” la presentazione di un altro speciale di “Storia e Memoria”: una monografia promossa dal direttore Carlo Rognoni e incentrata sul tema “Democrazia e Web”. Una questione cruciale dei nostri tempi, che richiama il complesso rapporto tra le potenzialità che offre la nuova tecnologia digitale nella trasmissione del sapere e paralleli rischi di diffusione di teorie antiscientifiche coperte dall’anonimato; il rapporto tra libertà d’informazione e diritto alla privacy; il rapporto tra principio di trasparenza e verificabilità delle fonti e canali occulti di formazione o disinformazione delle opinioni pubbliche, come dimostrano le gravissime vicende del “Russiagate”, di “Analityca” e la pratica ignobile delle “fake news” diffuse anche in queste giorni angoscianti. Questioni rilevanti che incidono fortemente sui sistemi politico-istituzionali e sui processi decisionali, ancor più nei regimi liberal-democratici, più esposti per diverse ragioni alle “incursioni piratesche”. Sistemi nei quali, a volte, sembra ribaltarsi la massima di Luigi Einaudi: “conoscere per deliberare”.
In questo difficile momento abbiamo dovuto interrompere, altresì, il ricco programma di lavoro predisposto per l’anno scolastico 2019/2020 iniziato con il corso di aggiornamento per gli insegnanti che aveva ad oggetto “l’uso pubblico della storia”, seguito da una intensa attività didattica e di ricerca.
Tra le tante iniziative svolte o in via di svolgimento, ritengo doveroso rammentarne alcune, tra cui la preziosa indagine storiografica, condotta da Irene Guerrini e Marco Pluviano, sul lavoro coatto e la deportazione dei lavoratori delle provincie liguri; il programma per “l’alternanza scuola-lavoro” imperniato sulla tematica dell’”uso critico delle fonti”; la riflessione sulla specificità dell’atroce condizione femminile nel sistema concentrazionario nazista, che ha preso spunto dalla presentazione del libro: “Destinazione Ravensbruck – l’orrore e la bellezza nel lager delle donne” scritto da D. Alfonso, L. Amoretti, R. Ranise.
Dovrei ancora ricordare tanti altri impegni e programmi di lavoro, che, tuttavia, spero al più presto potremo riprendere. Tra i primi, dovremo certamente riprendere la digitalizzazione dell’archivio dell’Istituto per salvaguardare la grande mole di documenti in esso custoditi e renderli fruibili ad un più ampio pubblico di ricercatori e cittadini.
Posso dire, però, che il lavoro è a buon punto, grazie soprattutto alla passione e alla diligenza dei nostri ricercatori, e che, appena ve ne saranno le condizioni, potremo avviare la seconda fase del crono-programma già definito. Questo anche grazie all’importante contributo e alla collaborazione della Compagnia di San Paolo, di Coop Liguria e del Polo del ‘900 di Torino che, fin dalle scorse settimane, ci ha permesso di mettere sul nostro sito e sulla piattaforma “ 9centro” parte della documentazione digitalizzata.
Allo stesso modo, per il prezioso sostegno ricevuto, non possiamo non ringraziare le Istituzioni nazionali, regionali e locali ed esprimere il nostro sincero apprezzamento per la splendida collaborazione avviata da anni con la direzione scolastica regionale, l’Università di Genova e le organizzazioni sindacali CGIL-CISL-UIL.
Care amiche e cari amici,
costretto come voi a questo forzoso confinamento, consentitemi di proporvi anche alcune riflessioni personali sui giorni che stiamo vivendo, solo abbozzate, che, a mio giudizio però, solo apparentemente esulano dalla “missione” e dallo “spirito” proprio del nostro Istituto. Ciò perché la pandemia provocata dalla diffusione planetaria del virus Covid-19 ha sconvolto drammaticamente la vita di ognuno di noi e le nostre relazioni, ponendo a noi tutti domande che non trovano risposte, poiché nessuno può ancora dirci come e quando questa tragedia umanitaria potrà essere sconfitta, come e quando potremo tornare alla normalità di “prima”, come e quando potremo riprendere il nostro comune impegno.
Non posso di certo io, che non ho alcuna competenza scientifica, esprimere giudizi sulla natura e la portata di questa epidemia, inimmaginabile fino a poche settimane fa per la gran parte di noi. Tanto meno può esser lecito da parte mia esprimere, ora, giudizi ponderati sulle misure adottate in Italia, sebbene, nel momento in cui scrivo queste “note di viaggio”, mi pare che le stesse vengano prese a riferimento in molte altre nazioni nel mondo e hanno ricevuto l’apprezzamento dell’organizzazione mondiale della sanità.
Non ho dubbi, tuttavia, che ognuno di noi è chiamato ad affrontare questa sfida, davvero epocale, con grande, grande senso di responsabilità e grande, grande senso di solidarietà. Ciò vale per i singoli, per gli Stati, per ogni comunità umana.
Antonio Gibelli, un caro amico, alcuni giorni fa mi ha scritto che “siamo in guerra e questo cambia tutto!” parole dette solennemente ieri sera, forse un po’ tardivamente, anche dal presidente francese E. Macron.
Condivido pienamente il giudizio di Antonio.
Si, perché, già ora, è cambiato tutto nel nostro vivere quotidiano e nulla sarà più come prima! E non credo che questa affermazione, spesso usata e abusata nel passato, possa essere interpretata come una frase fatta frutto della emotività, uno stanco luogo comune.
Perché è cambiata già la nostra percezione della paura stessa, di fronte ad un pericolo sconosciuto, invisibile, inafferrabile, che, come ha detto la Prof.ssa Ilaria Capua si presenta come “uno sciame virale” che avvolge il mondo. E la paura aumenta e può divenire ansia e panico perché nessuno può darci certezze sui tempi e sui modi dell’evoluzione di questo male oscuro e subdolo.
Perché siamo precipitati in poche settimane in una nuova dimensione esistenziale, in cui vengono ripristinati i confini geopolitici dei decenni precedenti, vengono ripristinati blocchi doganali e l’economia di mercato è divenuta economia di guerra.
Cambiano, e cambieranno ancor più domani, i paradigmi su cui avevamo costruito la nostra vita, i nostri rapporti, le priorità delle nostre scelte e la nostra visione del mondo.
Forse potevamo immaginare nuove guerre avendo memoria e conoscenza dell’ultima o dei tanti conflitti dimenticati nel mondo odierno. Avevamo imparato il significato di “coesistenza” in un mondo che si reggeva sull’”equilibrio del terrore”, ma nessuno poteva immaginare una “guerra totale” al genere umano dichiarata da un nemico ignoto.
Saranno gli scienziati a dire se questo disastro planetario non derivi anche da precise responsabilità dell’uomo nell’aver colpevolmente prodotto squilibri nel rapporto con la natura; se è figlio dei tempi e di questo sistema economico-sociale, che, come ha detto Papa Francesco idolatra il profitto, smarrendo il senso stesso dell’esistenza.
Di certo, però, lascia stupefatti l’irresponsabile stupidità di leader che sono alla guida di grandi potenze che fino a pochi giorni fa, non solo hanno volutamente ignorato i rischi dell’ epidemia, ma hanno irriso chi lanciava doverose e dolorose grida di allarme.
Per molte ragioni, dunque, di fronte a questa sfida epocale, alla priorità assoluta della tutela della salute pubblica e dell’eco-sistema, di fronte ai grandi problemi della fame, del sottosviluppo e delle migrazioni dovrebbe apparire a tutti chiaro che risposte coerenti, corrette e razionali, non possono venire dalla propaganda demagogica e fuorviante del “sovranismo d’antan” e delle “piccole patrie”.
È forse banale dirlo, ma il Re si scopre nudo perché, anziché promuovere una più forte strutturazione politico-istituzionale sovranazionale democratica, si pensi solo alla debolezza e impotenza dell’ONU, molti nell’ultimo decennio, hanno spinto verso un illusorio e immaginario ritorno ad un bel mondo antico, che in verità, come sappiamo bene, non è mai esistito. Le risorse e l’impegno venivano perciò catturati da falsi o futili problemi, anziché essere rivolti a promuovere l’avanzamento della cooperazione tesa a dare soluzione ai grandi problemi che si pongono all’inizio di questo nuovo millennio.
Non è forse anche questa una devastante conseguenza prodotta dall’ideologia del “primatismo bianco”, “dell’America first”, dell’anacronistica e infausta “brexit” e dell’ingannevole “prima gli italiani”? Culture regressive che si sono diffuse nel mondo, all’insegna di un neo-isolazionismo che vorrebbe ripristinare antistorici confini, alzare barriere per respingere i “nemici esterni” e restringere gli spazi di democrazia per i “cittadini interni”.
Non è, d’altra parte, proprio questo il modello di democrazia illiberale e confessionale declamata dall’ungherese Victor Orban, autorevole esponente dell’inedita internazionale sovranista? E non appartengono allo stesso filone culturale i cosiddetti no-vax e coloro che sostenevano la tesi secondo cui la scelta di vaccinare i bambini doveva essere lasciata alla discrezionalità dei genitori? Quale tipo di cultura sottintendeva il rifiuto di applicare i protocolli sanitari? E come non ricordare, mentre siamo quasi sospesi e in attesa di risposte da parte degli studiosi sui tempi di realizzazione di vaccini sperimentali, che anche personalità di governo, allora, rivendicavano questo “diritto di libertà”, contro ogni evidenza scientifica ed esperienza plurisecolare?
Tutto ciò mi induce a sottolineare che la democrazia non può prescindere dalla ragione e dalle scienze umane, come le scienze umane non possono essere privatizzate o costrette nei confini dei singoli Stati.
Sembrano ovvietà, ma forse non lo sono, se ancora pochi giorni or sono un Capo di Stato prima ha deriso la scienza e poi ha tentato di acquistare, a suon di dollari, il monopolio del possibile vaccino anti-coronavirus. Sembra incredibile, ma questo è stato proposto dal leader della più grande potenza occidentale, mentre i centri di ricerca stanno affannosamente collaborando per trovare un antidoto al male che non si arresta di fronte a nessuna frontiera.
La pandemia provocata dal covid-19 dimostra, quindi, chiaramente quanto fossero fallaci e pericolose le teorie oscurantiste e populiste, che pure hanno goduto di un diffuso consenso popolare. Torna così una prepotente domanda di competenza e sapere in ogni campo, da quello tecnico-scientifico a quello umanistico.
Come torna evidente l’esigenza di recuperare serietà e responsabilità alla politica, consapevoli al contempo, che il “modello democratico” fondato sul rapporto inscindibile tra diritti e doveri dei cittadini (individuali e collettivi), sull’equilibrio e separazione dei poteri e sulla mediazione dei corpi intermedi non ha serie alternative, se si vuole garantire rappresentanza, partecipazione ed efficacia nell’azione dei poteri pubblici, anche in fasi emergenziali.
Avere, dunque, fiducia nella ragione umana e nella scienza, seguire scrupolosamente le indicazioni che vengono dagli studiosi e dall’OMS è il presupposto per poter vincere questa “guerra”. Ma ciò sarà possibile se, come quotidianamente viene ripetuto, ogni singolo cittadino farà responsabilmente la propria parte.
Tutti siamo chiamati a prove di responsabilità gravose ma decisive. Un di più di responsabilità è, naturalmente, richiesto alla politica e alle Istituzioni, che non sempre in questi giorni convulsi hanno resistito alla tentazione di alimentare polemiche pretestuose e ricercare capri espiatori per meschini calcoli elettorali. Quando la casa brucia il dovere di tutti dovrebbe essere quello di spegnere l’incendio e chi rappresenta le Istituzioni o è a capo di importanti forze politiche dovrebbe dare l’esempio e non alimentare grotteschi e puerili ”scaricabarile”. Occorre oggi difendere il bene primario della salute dei cittadini e il senso di comunità. Verrà poi il tempo dei bilanci e ognuno valuterà con la necessaria serenità chi ha meritato la propria fiducia. Oggi viviamo uno “stato di eccezione” , mai vissuto dalla seconda guerra mondiale, imprevisto e imprevedibile. Lo stesso ordinamento costituzionale e la ripartizione delle competenze tra le varie istituzioni non aiuta, a volte, a fronteggiare l’emergenza. La seria e costruttiva collaborazione inter-istituzionale, dunque, è l’unica vera arma vincente per scongiurare il collasso del sistema sanitario e dell’intero paese.
Ancora una considerazione vorrei, inoltre, dedicare all’informazione, quella tradizionale e quella della rete, poiché essa assume, in tutta evidenza, una particolarissima funzione in questi momenti in cui i cittadini vivono una surreale condizione di isolamento. Tutti possiamo convenire che in queste circostanze la trasmissione tempestiva e completa di notizie è una condizione essenziale perché la comunità faccia responsabilmente squadra. Così come non v’è bisogno di sottolineare che la trasparenza assoluta della comunicazione è, per tutti coloro che sono chiusi diligentemente in casa, come l’ossigeno per i malati infettati dal virus. Per tale motivo, anche e soprattutto all’informazione è richiesto un di più di responsabilità, poiché il venir meno di elementari regole deontologiche, il “forzare e distorcere” i dati di realtà, l’alzare e amplificare strumentalmente i toni polemici, come è avvenuto e avviene da parte di taluni, concorre a diffondere tossine che contribuiscono a sfibrare il tessuto connettivo del Paese, che al contrario ha bisogno di iniezioni di fiducia e solidarietà.
Un’ultima breve riflessione vorrei, infine, dedicare alla nostra Europa e alla sua classe dirigente.
Come è ben noto, gli antieuropeisti e gli euroscettici non mancano mai occasione per scaricare sull’Unione ogni tipo di colpa e responsabilità, che il più delle volte andrebbero, invece, ricercate nelle scelte dei governi nazionali e in particolare di quelle “interdittive” dei governi “nazional-populisti”. Anche in questa drammatica crisi alcuni noti leader hanno individuato immediatamente nell’U.E. il proprio bersaglio prediletto, sebbene le competenze e le azioni che vengono oggi richieste, siano state precedentemente negate proprio dagli stessi leader in nome della “sacra sovranità nazionale”. Su quest’ultima questione, penso, ci sia davvero poco da aggiungere, perché si tratta di un refrain logoro e stucchevole, che, tuttavia, non viene combattuto col necessario vigore dall’insieme della cultura progressista europea.
Invece, credo, più utile soffermarsi sulle responsabilità, i ritardi e le inerzie dei governi e delle élite europeiste. Non v’è dubbio, infatti, che questa crisi pandemica abbia messo in luce le gravi debolezze di una “governance europea” con insufficienti poteri e fortemente condizionata dagli interessi miopi e confliggenti degli stati nazionali. Un problema che fin dalla crisi finanziaria del 2008 e congiuntamente al fenomeno migratorio, ha progressivamente assunto un carattere potenzialmente implosivo per l’Unione.
Ma fino ad oggi si è preferito seguire più la strada della “prudenza e del rinvio”, piuttosto che quella del “coraggio delle scelte”, subendo i diktat del “gruppo di Visegrad”. Gli europeisti devono però sapere, questa è almeno la mia netta convinzione, che questa emergenza segnerà uno spartiacque anche per la sopravvivenza dell’Unione. Come altri, penso che questa pandemia possa, assieme a tante vite umane, spazzare via anche l’euro e con esso il “sogno” di A. Spinelli e dei padri fondatori, con conseguenze gravissime per tutto il continente.
Sono convinto, infatti, che l’Europa sia di fronte alla sua prova decisiva.
Non sono pertanto consentite più incertezze e mezze misure per salvare l’Europa che abbiamo sognato. Tutti dobbiamo sapere che non ci saranno altre prove d’appello!
Perciò, le classi dirigenti convintamente europeiste sono chiamate, qui e ora, a scelte coraggiose e lungimiranti. Dovranno per questo, non solo adottare tutte le misure necessarie a sostegno dell’euro e delle economie europee, come fece M. Draghi, per la parte che gli competeva, ma devono saper dimostrare di aver imparato la lezione di questo ultimo decennio. Una lezione che ci dice che la salvaguardia della moneta e dello spazio economico non è più sufficiente per tenere insieme l’Unione.
Una vera classe dirigente, dunque, consapevole della natura e della portata della posta in gioco dovrà saper indicare chiaramente l’orizzonte politico che intende proporre ai cittadini dell’Unione, che non può che consistere nel promuovere una svolta decisiva e rilanciare decisamente l’ambizioso progetto degli “Stati Uniti d’Europa”. Solo così, del resto, esse potranno recuperare la propria credibilità, la tensione ideale e la fiducia dei cittadini indispensabile per costruire il futuro dell’Unione. In questo quadro diventa sempre più urgente avviare le procedure per uscire dal guado politico-istituzionale attuale e procedere decisamente sulla via della “cooperazione rafforzata” con i Paesi che saranno disponibili e coerenti con i principi fondamentali della Carta di Nizza.
Per queste ragioni ritengo che il destino dell’Europa sia in larga misura nelle mani dei sei Paesi fondatori, così come, però, ritengo che il destino dei sei Paesi fondatori sia nelle mani e nel futuro dell’Europa.
Di questo, tutti, dovrebbero essere coscienti.
Care amiche e cari amici,
Molti hanno pronosticato che quando usciremo da questo tunnel, niente sarà come prima. Io ne sono convinto e spero che tutti comprenderemo che l’umanità non potrà affrontare nessuna delle grandi e inedite sfide del mondo globalizzato, chiudendosi nelle logiche egoistiche e nello sterile isolazionismo.
Dovremo tutti alzare lo sguardo oltre l’orizzonte immediato, ripensare un diverso ordine di valori cui fare riferimento per promuovere una nuova idea di futuro, per i nostri figli e i nostri nipoti.
Del resto, la catastrofe umanitaria che stiamo vivendo imporrà a tutti di ridefinire i propri modelli culturali, le proprie pratiche sociali e riscrivere la propria agenda.
Anche noi dovremo farlo.
Lo faremo insieme come Istituto storico, consapevoli che lo studio del passato è un fondamentale strumento di interpretazione dei complessi processi storici che si esprimono nel presente.
Anche noi dovremo riscrivere la nostra agenda, forse di più lungo periodo e respiro, allargando ancor più lo sguardo sulla contemporaneità, come abbiamo cercato di fare in questi anni, nel profondo convincimento che il sapere storico-scientifico è componente essenziale della coscienza civile di un paese, di una comunità, dell’intera umanità.
Spero, quindi, che al più presto potremo riprendere con lo spirito e l’entusiasmo di prima il nostro impegno culturale, scevro da pregiudizi e logiche di parte, teso a favorire, in primo luogo, un più maturo spirito civico e democratico nelle giovani generazioni, fondato sui principi inscritti nella Costituzione della Repubblica e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Carissime amiche e carissimi amici,
ho voluto raccogliere e socializzare con voi questi spunti di riflessione perché, penso, sia utile colmare la distanza che ci è imposta dal nostro volontario e necessario isolamento fisico, che non deve trasformarsi in solitudine.
Anche questo tempo difficile dedichiamolo a progettare un futuro migliore.
Prima di concludere sento il dovere di inviare un sincero e profondo ringraziamento ai medici e infermieri che in prima linea combattono per salvare vite in condizioni difficilissime. Un ringraziamento è, inoltre, doveroso inviare a tutti i servitori dello Stato e ai volontari impegnati anch’essi nella difficile battaglia per portare soccorso e difendere noi tutti dal contagio. Un grazie anche agli uomini e alle donne delle Istituzioni che fino in fondo, con rigore e onore, senza altri fini, fanno il loro dovere, primo tra tutti il Presidente Sergio Mattarella.
Un abbraccio affettuoso (virtuale) a voi tutte e tutti.