Non è un abbonamento, è un arruolamento. Suona così ma è solo la pubblicità di un giornale: Primato Nazionale, legato ovviamente all’estrema destra. Il messaggio mi esce fuori mentre sto facendo qualche ricerca su internet per scrivere questo articolo. Provare a spiegare il rapporto tra giovani e neofascismi non è facile, neppure per me che non ho nemmeno trent’anni.
Da quando al liceo c’ero io le cose si sono stravolte. I gruppetti neofascisti sono passati da essere poco più che caricature a realtà consolidate e ramificate. Mi rendo conto che sono il primo ad aver bisogno di trovare delle basi più solide della semplice esperienza personale per riuscire a spiegare e a capire io stesso cosa è successo e perché.
Il 97% dei giovani pensa che la società sia ingiusta. Il 71% ritiene che la colpa sia della generazione precedente. Il 54% è pessimista sul futuro.
Questi dati vengono da un enorme lavoro di indagine promosso dall’Unione Europea. Alla ricerca Generazione-What infatti in un anno hanno risposto poco meno di un milione di giovani in 35 paesi di cui 100mila in Italia. Un campione estremamente vasto, rielaborato statisticamente e che restituisce una fotografia dettagliata del pensiero di una generazione.
Tre dati nettissimi. Le giovani generazioni sentono più di tutti il peso della crisi economica, gli effetti della globalizzazione e lo spaesamento del vivere in un mondo sempre più liquido e fluido. Un senso comune profondamente radicato che si mescola con tutti quei tratti tipici della giovinezza e dell’adolescenza che ognuno di noi ha sperimentato e può ricordare.
Nel frattempo però sono venuti meno anche una serie di riti di passaggio e ci si ritrova a più di 30 anni a non essere ancora adulti, magari senza lavoro e in casa dei genitori. Così al senso di ingiustizia si mescola anche il sentire di non avere in mano il proprio destino e di essere come bloccati in un limbo. Nella sola Liguria i giovani che non studiano e non lavorano, i cosiddetti NEET, sono circa 35mila.
Lo scenario perfetto per il messaggio di partiti e movimenti anti sistema che, infatti, spopolano in tutta Europa seppure con caratteristiche e sfumature diverse. Perché questa condizione non produce voglia di ribellarsi quanto piuttosto rancore e frustrazione.
Il 67% dei giovani farebbe parte di un movimento per mandare a casa la classe dirigente, un dato che sale al 76% tra chi ha un lavoro. Il vero dato però è che al 60% poi non interessa far parte di una organizzazione politica e che l’idea dilagante è che tanto non cambia nulla.
Un sentire che è fortemente influenzato anche da genitori e famiglie, da quelle generazioni precedenti che hanno anche sperimentato l’attivismo politico ma ne sono rimasti delusi. Così passano questa esperienza ai figli, mescolando elementi di protezione, per evitare loro delusioni già provate, con il loro sentirsi direttamente sfiduciati e insoddisfatti dalla politica.
“Ci sono professori che ci dicono che i politici fanno tutti schifo. La scuola ci vuole lontani dalla politica”. Sono le voci raccolte dai giornalisti dell’Espresso in un articolo apparso qualche settimana fa mentre conducevano una ricerca simile a quella già citata.
Manca la famiglia e manca la scuola. Manca la leva militare, rito di passaggio moderno che ha resistito fino al 2004 ma di cui il 30% dei giovani vorrebbe la reintroduzione. Una richiesta trasversale, da nord a sud, lavoratori e disoccupati, maschi e femmine. Una affermazione legata anche all’idea che al giorno d’oggi ci siano troppe libertà e quindi la necessità di ordine, disciplina, gerarchie. Magari anche di una ritrovata dimensione nazionale espressa come forma di contrasto alla globalizzazione economica e finanziaria.
Mancano quindi i punti fermi nella società che diventa sempre più fluida, o liquida, come diceva Bauman. Più le persone sono spaventate e insicure e più i neofascismi hanno margini per farsi strada e trovare un terreno fertile. Così è facile che i giovani siano attratti da un messaggio chiaro e semplice ma soprattutto che ricostruisce identità, definisce e determina uno spazio e un ruolo nel mondo.
Messaggi e programmi che normalizzano, in una certa misura, le formazioni di estrema destra in un mondo in cui alla guida degli Stati Uniti c’è Donald Trump. Questo è l’aspetto più pericoloso. Perché marginalizza il peso delle atrocità e dei crimini che fascismo e nazismo si portano dietro.
Il rischio così è doppio. Da una parte le responsabilità più pesanti del nazifascismo finiscono sullo sfondo dei nuovi movimenti che possono così raccogliere consensi e favori più ampi. Dall’altra parte però restano come elemento mai denunciato e mai negato fino in fondo diventando qualcosa di tollerabile e accettabile.
Non ci sono solo note negative, ovviamente. Ma è importante comprendere, fino in fondo, in quale contesto ci si muove e quali sentimenti sono dominanti, formandosi un’idea prima che un giudizio.
Così si scopre anche che il 66% dei giovani considerano l’immigrazione come un’occasione, fonte di arricchimento culturale e mostrano apertura nei confronti delle coppie gay e della possibilità di professare liberamente la propria religione senza limitazioni.
La grande differenza quindi non è tanto nel giudizio storico di quelle esperienze quanto piuttosto nello sguardo verso il futuro. La stessa sensazione di ingiustizia non produce la stessa reazione in tutti i giovani e lo spartiacque maggiore è dato dall’istruzione in generale, dal percorso di studi, dalla possibilità di aver preso una laurea magari legata anche ad altre esperienze formative.
Da una parte chi vive il mondo come un’opportunità, con un atteggiamento cosmopolita che vede le contraddizioni della globalizzazione ma anche le sue potenzialità. Dall’altra parte chi ne rimane schiacciato e quindi preferisce costruire muri nel tentativo di salvarsi.
Su questi aspetti dobbiamo lavorare se vogliamo stroncare sul nascere ogni possibilità di riaprire le pagine più buie della storia.
Nel dopoguerra la Resistenza aveva ricostruito una coscienza nazionale condivisa e la Costituzione era davvero un elemento fondativo per una società nuova che voleva liberarsi e tornare a vivere. Quel sentimento, pur con tutte le difficoltà che il nostro Paese ha vissuto, era un antidoto potentissimo a tutta una serie di degenerazioni. Oggi però non è più percepito e deve essere rifondato, calato nel senso comune del nostro tempo.
Il nostro sforzo non può limitarsi all’esaltazione positiva della Resistenza e dei suoi valori e al racconto storico dei crimini dei nazifascisti. Non basta per fermare quanto sta avvenendo.
Bisogna partire dal sentire delle nuove generazioni per dare forza e speranza ai sentimenti migliori che già ci sono. Bisogna raccontare un mondo aperto inclusivo e solidale in cui nessuno viene lasciato indietro. C’è spazio per dare identità alle comunità locali senza alzare muri ma mettendo in relazione mondi diversi e che oggi hanno più facilità a parlarsi e trovarsi di ieri.
Diamo ai giovani nuove opportunità. Dimostriamo che la via democratica è occasione di cambiamento e svuoteremo di senso il messaggio dei nuovi fascismi.