Ultimi, in ordine di tempo, quelli della Juventus: una cinquantina di gatti neri con braccio teso, facce truci e slogan minacciosi, in corteo verso lo stadio.
Li avevano preceduti i giovanissimi imbecilli laziali a coinvolgere Anna Frank nelle squallide dispute sul derby con la Roma. Poi i tifosi veneti dalle teste rasate in trasferta a Como per minacciare i migranti e chi li aiuta.
Fossero solo loro, poche centinaia di teppistacci sparpagliati sulle curve degli stadi d’Italia, la questione non sarebbe neppure da prendere in considerazione: basterebbe un minimo sindacale di iniziative di polizia. Denunce, diffide, divieti, obbligo di firma e, se necessario, qualche energico intervento senza nemmeno bisogno di mostrare armi o manganelli: una doccia con gli idranti per sciogliere eventuali gruppi e cortei inneggianti.
Il problema è che non ci sono soltanto loro.
Il problema è che ci sono personaggi politici e capi di partito che non solo minimizzano ma ammiccano, strizzano l’occhio e ridacchiano compiaciuti alle proprie stesse battute del tipo: Mussolini non era un dittatore.
Il problema è che ci sono in giro sindaci e assessori che non si vergognano di lasciarsi sfuggire, magari via twitter o via facebook che fanno tanto moderno e tanto giovanile, i propri borborigmi intestinali che hanno lo stesso tenore degli urlacci dei teppisti da stadio. Dopo, magari, chiedono anche scusa: quello che ho scritto, si giustificano, non corrisponde al mio pensiero. Invece sì: ammesso che di pensiero si possa parlare, la pensano proprio come l’hanno scritta.
Tolleranza zero di fronte a questi miserabili. Non si deve consentire che qualcuno, tantomeno chi si autoinveste del ruolo di rappresentante del popolo, adotti linguaggi e posture che sono prima di tutto un’offesa al buon senso, poi anche un crimine da codice penale. La tolleranza zero deve partire dalle aule parlamentari e arrivare fino al più piccolo consiglio di quartiere, perfino all’assemblea di condominio. Tolleranza zero anche al bar, sull’autobus, in ufficio o dal barbiere. L’antifascismo può e deve ripartire anche da lì, dai luoghi dove “non si fa politica”.