di Pietro Ichino
A metà degli anni ’60 lo Stato insedia un’acciaieria accanto a una grande città, senza una zona di rispetto per la protezione dell’abitato; negli anni successivi Comune e Regione – abdicando ai propri poteri di governo urbanistico – consentono uno sviluppo insensato degli insediamenti residenziali intorno allo stabilimento, ignorandone l’inquinamento. Nel 1995 quell’acciaieria viene ceduta a una famiglia di industriali, i quali considerano come normale costo di produzione la generosa distribuzione di denaro a istituzioni pubbliche e a privati: dalla Regione al Comune, dai partiti ai sindacati, dalla Diocesi alle associazioni ambientaliste, per anestetizzare tutti quanti di fronte ai danni causati dallo stabilimento. E per quindici anni i destinatari di quelle generose regalie si lasciano volentieri anestetizzare.
Nel 2012 la magistratura pone fine a questa cuccagna, mandando in prigione i titolari dello stabilimento e commissariandolo; da allora vengono avviate misure di riduzione drastica dell’inquinamento ambientale, le quali incominciano pian piano a produrre risultati apprezzabili. Nel frattempo, intorno allo stabilimento si formano due correnti di opinione: una favorevole a proseguire nell’opera di bonifica e di modernizzazione della struttura produttiva, sulla scorta dei molti esempi di acciaierie con impatto ambientale accettabile, e una rinunciataria, tendente alla chiusura dello stabilimento, considerato irrimediabilmente incompatibile con la tutela ambientale. Perché quest’ultima è la corrente probabilmente destinata ad avere la meglio? Perché dopo decenni di incuria e corruzione diffuse, delle quali tutti sono stati partecipi, nessuno si fida più di nessuno. Per un progetto ambizioso mirato a conciliare l’attività produttiva con la tutela ambientale il problema maggiore non è reperire il know-how e le ingenti risorse economiche necessarie: il problema maggiore è il difetto del “capitale sociale”, cioè di quel senso civico diffuso, senza il quale qualsiasi Paese è condannato a languire nell’arretratezza.
L’articolo è tratto dal sito lavoce.info