di Giancarlo Piombino
Può essere interessante, in un momento così difficile per il sistema autostradale ligure (e dopo la tragedia del ponte Morandi) dare uno sguardo al passato, allo stato dei fatti nei lontani anni Sessanta, ai protagonisti della costruzione di collegamenti adeguati alle esigenze del traffico moderno, in particolare a quelle del porto ma anche del turismo, obiettivo oggi evidente, anche se non lo era per tutti anni or sono quando la vocazione turistica di Genova era considerata “pericolosa” perché alternativa alla cosiddetta vocazione industriale.
Quale era la situazione dei collegamenti autostradali all’inizio degli anni Sessanta? Esistevano solo tre tratte: la “Camionale”, cioè il collegamento tra Genova e Serravalle Scrivia, risalente agli anni Trenta; un tratto incompiuto tra Genova e Savona (in realtà tra Voltri e Albisola) di poco più di venti chilometri; e l’autostrada tra Savona e Ceva.
Ricordo personalmente i disagi per chiunque si mettesse in viaggio in quel periodo: per raggiungere l’autostrada per Ceva (già di per sé poca cosa, utile sostanzialmente per raggiungere le Langhe) occorreva attraversare il centro genovese e quello savonese, ovviamente già allora assai intasati. A raggiungere La Spezia si impiegavano oltre due ore e mezza, per la fortuna di una trattoria sul passo del Bracco, divenuta famosa anche perché di buon livello, tappa obbligata di un viaggio lungo e disagevole.
Non diversa la situazione per chi voleva andare a Milano: non solo da Serravalle si doveva proseguire per vie aperte a ogni genere di mezzi di trasporto – dalla bicicletta all’autoarticolato – ma la stessa Camionale era diventata impercorribile per il gran traffico. Si era studiato un complicatissimo sistema di tratti a senso unico affiancati da tratti a doppia corsia per rendere possibili i sorpassi ed evitare, per brevi momenti, code lunghissime dovute alla lentezza dei mezzi pesanti.
Protagonista di un piano autostradale moderno ed efficace, tale da consentire i collegamenti con Milano, La Spezia e Ventimiglia, fu la parte pubblica (l’Iri soprattutto, con il contributo degli enti locali) non solo per la progettazione ma anche per la stessa realizzazione, quanto meno nella funzione imprenditoriale.
Fu intanto costituita la società Serravalle-Milano-Ponte Chiasso di cui era azionista non secondario il Comune di Genova (il quale però successivamente, quando quella stessa società costruì la tangenziale di Milano, se ne ritirò dietro indennizzo sostenendo che la nuova opera non interessava i genovesi!). La Serravalle diede buoni risultati economici agli azionisti. Fu infine l’Iri protagonista della realizzazione del nodo autostradale di Genova e quindi anche del ponte sul Polcevera, del tratto tra Genova e Sestri Levante, della Voltri-Gravellona Toce e del collegamento tra Genova e la Val Fontanabuona (la galleria Traso-Ferriere) di rilevante importanza per il pendolarismo locale.
Oggi il problema della rete autostradale di Genova presenta due aspetti: uno non dissimile da quello degli anni Sessanta: la necessità di un ampliamento (la Gronda); e uno neppure immaginabile all’epoca, cioè la fragilità delle costruzioni in cemento armato.
Entrambi questi aspetti offrono una lezione: il sistema trasportistico non solo è essenziale per lo sviluppo economico, così come è essenziale il suo continuo aggiornamento, ma richiede un impegno pubblico costante, e una partecipazione, non solo di promozione, degli enti locali alla sua definizione nell’immediato e nel tempo.
I fatti ci dicono che promotori di una parte considerevole delle autostrade liguri sono state le Partecipazioni statali, con le opere di maggior impegno, ma anche i Comuni e le Province: non solo per la già ricordata Serravalle-Milano, ma anche per la Savona-Ventimiglia e in altre occasioni. La loro presenza non ha riguardato soltanto le competenze operative dirette, quanto la definizione di un giusto perimetro di responsabilità.
Negli anni Sessanta, epoca di ottimismo diffuso circa lo sviluppo economico, il problema delle grandi vie di comunicazione poteva essere affrontato in modo settoriale con la realizzazione di tratti parziali direttamente dai Comuni e dalle Province. Oggi, ovviamente, non è più cosi per evidenti motivi: la integrazione delle economie e la necessaria visione del futuro richiede altri protagonisti. L’esperienza di questi mesi, a Genova ma non solo, ci dice anche che tra i protagonisti devono essere presenti gli enti che hanno cura del territorio per l’incidenza che le grandi vie di comunicazione hanno sulla loro economia locale ma anche sulla normale vita dei cittadini.
Un esempio lampante è la vicenda del ponte Morandi per le note conseguenze sugli abitanti della zona e della città nel suo complesso.
Due temi attualmente al centro del dibattito, in allora, avevano un peso meno incisivo o erano del tutto assenti: la questione ambientale e la solidità nel tempo delle costruzioni. Sulla prima, della quale pur si discuteva, faceva premio l’urgenza di realizzare opere indispensabili per liberare Genova e la Liguria dall’isolamento; mentre della seconda, sarebbe parso incomprensibile discutere: non era nemmeno concepibile che strade e ponti potessero crollare!
Un tema strettamente politico investiva, seppure in una prospettiva diversa, la questione delle comunicazioni. I partiti allora al governo (la Dc con il Psi e gli altri del centrosinistra) ritenevano che lo sviluppo industriale di Genova – che nessuno metteva in discussione – fosse possibile per ragioni orografiche solo al di là dell’Appennino, mentre alla città doveva essere riservato il ruolo di centro direzionale; l’opposizione di sinistra riteneva invece che Genova dovesse mantenere nella sua area urbana o nel suo immediato entroterra la presenza diretta della grande industria: non voleva una “città di camerieri”. Il Pci temeva infatti che i partiti di governo volessero ridisegnare il tessuto sociale di Genova soprattutto per motivi elettorali.
La prospettiva di un sistema autostradale toccava non marginalmente il dibattito politico: per gli uni era uno strumento essenziale per lo sviluppo, per gli altri una mera tattica elettorale e un favore all’industria automobilistica. Il tempo ha messo a tacere questi argomenti oggi quasi incomprensibili: ma non si può dimenticare come in allora questa contrapposizione abbia reso meno agevole la realizzazione di obbiettivi che l’esperienza odierna dà ormai come scontati.