Catalogna: quanto pesa la storia sul futuro?
di Guido Levi
Per Marc Bloch “l’incomprensione del presente nasce fatalmente dall’ignoranza del passato”. Per questa ragione gli antichi consideravano la storia magistra vitae, nella consapevolezza che spesso i problemi hanno radici profonde, che ci riportano indietro nel tempo. Potremmo anche aggiungere che risalire all’origine delle questioni talvolta può aiutare a individuare eventuali via d’uscita, a intravvedere possibili soluzioni.
Un caso in tal senso emblematico è rappresentato dalla questione catalana, esplosa drammaticamente nelle ultime settimane a seguito del referendum sull’indipendenza, svoltosi il 1° ottobre 2017 in un clima arroventato dal goffo intervento della Guardia civil per cercare di impedirne lo svolgimento. Dopo un confronto a distanza durato alcune settimane tra il presidente della Generalitat de Catalunya, Carles Puigdemont, e il premier spagnolo Mariano Rajoy, il 27 ottobre il Parlamento catalano ha rotto gli indugi dichiarando l’indipendenza della Catalogna. La risposta di Madrid è stata quasi immediata, con l’approvazione in Senato del ricorso all’articolo 155 della Costituzione, che prevede, in caso di violazione della stessa e di grave attentato all’interesse generale, l’adozione di misure straordinarie per il ripristino della legalità, tra cui la revoca dei poteri all’attuale esecutivo catalano.
Le due posizioni, parimenti intransigenti, sembrano soffocare sul nascere ogni ipotesi di dialogo, anche se non è facile prevedere lo sviluppo della situazione. Si tratta del drammatico epilogo di uno scontro iniziato nel 2010 quando il Tribunale costituzionale spagnolo aveva bocciato 14 articoli del nuovo Statuto di Autonomia della Catalogna e aveva contestato il riferimento alla “nazione catalana” contenuto nel suo preambolo. Tale bocciatura ha innescato un processo di radicalizzazione dell’autonomismo catalano, che nel giro di pochi anni ha assunto tratti sempre più marcatamente indipendentisti, come si evince dal dibattito che aveva accompagnato il referendum sull’autodeterminazione della Catalogna del novembre 2014, un referendum di carattere esclusivamente consultivo. Questo sentimento indipendentista è stato cavalcato in particolare da Convergència Democràtica de Catalunya, partito guidato da Artur Mas, presidente della Generalitat de Catalunya tra il 2010 e il 2016, e da Esquerra Republicana de Catalunya, di Oriol Junqueras. In vista delle elezioni catalane del settembre 2015 i due partiti avevano costituito la lista indipendentista unitaria Junts pel Sí, che avrebbe raccolto quasi il 40% dei voti e che avrebbe portato Puigdemont alla presidenza della Generalitat in alleanza con Candidatura d’Unitat Popular.
Ma in realtà “la questione catalana” ha radici molto più antiche e spesso dimenticate che ci riportano indietro nel tempo sino al regno di Aragona, di cui la contea di Barcellona faceva parte sin dal XII secolo. A partire dal XV secolo, ossia dal matrimonio tra Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia, la Catalogna fece parte del regno di Spagna, conservando tuttavia una ampia autonomia. I primi problemi iniziarono a manifestarsi nel XVII secolo quando il conte-duca di Olivares, “valido” di Filippo IV, una sorta di primo consigliere del re, procedette sulla strada della centralizzazione dello Stato. Ne seguì la ribellione della Catalogna e del Portogallo, anche se solo quest’ultimo conseguì l’indipendenza. Fu però Filippo V, al termine della guerra di successione spagnola (1700-1715), il sovrano che cancellò i fueros e le antiche istituzioni catalane.
Per oltre un secolo questa vicenda non lasciò particolari tracce nel popolo catalano, che anzi prese parte alla guerra d’indipendenza contro la Francia in età napoleonica, mostrando un sentimento di appartenenza alla Spagna. Ma nel corso del diciannovesimo secolo, periodo in cui in tutta Europa si sarebbe manifestato il risveglio delle nazioni, anche a Barcellona vennero riscoperte la cultura e le tradizioni catalane. E lo stesso si verificò in altre “regioni” della Spagna, che politicamente determinarono rivendicazioni autonomistiche.
In questo contesto si diffusero nel movimento repubblicano posizioni federaliste, che durante il cosiddetto “sexenio revolucionario” (1868-1974) si tradussero in un progetto politico concreto teso alla trasformazione della Spagna in una repubblica federale. Il principale teorico di questo progetto fu Francisco Pi y Margall, intellettuale e uomo politico, nonché uno dei quattro presidenti della Repubblica del 1873.
Un colpo di stato militare pose fine alla breve esperienza repubblicana, aprendo la strada alla restaurazione borbonica e all’incoronazione di Alfonso XII. Dal filone di pensiero federalista germogliò il catalanismo politico, il cui manifesto è considerato il volume Lo catalanisme di Valentì Almirall del 1886. Il catalanismo assunse tuttavia caratteri marcatamente nazionalistici solo agli inizi del XX secolo: La nacionalitat catalana (1906) di Enric Prat de la Riba ne rappresenta quasi una sorta di manifesto politico, la Lliga Regionalista la sua espressione partitica, la Mancomunitat de Catalunya la prima istituzione.
Dopo la parentesi rappresentata dalla dittatura di Miguel Primo de Rivera (1923-1930), il catalanismo rifiorì negli anni della Seconda Repubblica, con il leader della Esquerra Republicana de Catalunya Francesc Macià che rispolverò l’idea di uno Stato catalano integrato in una Federazione di Repubbliche iberiche. La Generalitat sostituì allora la defunta Mancomunitat e venne elaborato uno Statuto di Autonomia. Queste aspirazioni furono tarpate dalla guerra civile e poi dalla dittatura franchista, ma resistettero alla ispanizzazione forzata e alla repressione e si ripresentarono quarant’anni più tardi durante la Transizione democratica.
La Costituzione del 1978 ha portato al consolidamento di uno Stato democratico di diritto e alla formazione di uno Stato delle Autonomie, cioè alla costituzione di 17 Comunità autonome. Questo risultato non è parso tuttavia sufficiente ad alcune componenti radicali dei nazionalismi regionali, e così la questione catalana è rimasta irrisolta sino agli ultimi avvenimenti di questi giorni. Se non fosse già troppo tardi, perché il fattore tempo in certi momenti è davvero determinante, il progetto federalista, ereditato dalla prima e dalla seconda Repubblica, potrebbe rappresentare l’ultima carta da giocare per scongiurare la secessione. E alla secessione catalana potrebbe fare seguito quella basca, innescando la disgregazione dello Stato nazionale spagnolo, con seri rischi di contagio ad altre regioni d’Europa: dall’Irlanda del Nord alla Corsica, dalle Fiandre alla Baviera. Per questo l’Unione europea segue con tanta apprensione e prudenza la vicenda catalana.