La difesa dell’Europa
di Roberta Pinotti
Il sogno di un’Europa unita si delinea con sufficiente nitidezza nel momento più difficile per il nostro continente. Nell’Europa dei totalitarismi e, poi, della guerra, pochi visionari sanno guardare oltre l’immanenza del momento, presagendo quello che potrà avvenire da lì a pochi anni ma su cui nessuno, in quel momento, potrebbe scommettere.
Quel sogno prende forma e corpo immediatamente dopo la fine della guerra guerreggiata e quando si è ben dentro – anzi, solo agli inizi – di un nuovo conflitto, “freddo” all’apparenza ma pronto ad accendersi e travolgere nuovamente la vita dei cittadini europei.
L’Europa unita – ma per anni si è chiamata “comunitaria” – nasce quindi, prima nel pensiero e poi nei fatti, come risposta a una condizione di forte sofferenza per i popoli europei e a una minaccia imminente della pace da poco riconquistata. Ed è quanto mai necessario ricordare questo passato e, soprattutto, le ragioni dell’Europa che viviamo oggi, perché l’Europa non è solo una storia di successi.
Il progresso straordinario, in termini economici e di sicurezza sociale, conseguito dai Paesi usciti distrutti dai conflitti del secolo passato è, ovviamente, motivo di orgoglio per tutti noi. Ma non dobbiamo scordare o nascondere i passi falsi, le indecisioni, i ripensamenti che pure hanno caratterizzato questi decenni.
La difesa militare costituì, fin da subito, una delle ragioni per le quali alcuni Paesi europei decisero di unire le forze. Lo dimentichiamo spesso, perché negli anni i temi economici sono risultati prevalenti, tanto nel progressivo consolidarsi delle istituzioni europee quanto nel comune sentire dei cittadini e, quindi, della politica.
Ma l’Europa della difesa nacque ben prima della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (1951) o dei Trattati di Roma (1957). Già nel 1948, cinque Paesi europei siglarono un Trattato di mutua difesa; da quel principio discenderanno poi sia il Patto Atlantico, che renderà gli Stati Uniti d’America attore permanente della sicurezza europea, sia l’Unione dell’Europa Occidentale, organizzazione a lungo marginalizzata e infine confluita nell’Unione europea, ma che è risultata fondamentale per preservare il principio della difesa comune europea lungo tutti i decenni del secondo dopoguerra. La clausola di mutua difesa prevista nel Trattato di Lisbona del 2009 è la diretta discendente del vincolo stabilito già nel 1948.
Oggi il tema della difesa comune è di nuovo al centro dell’attenzione politica. È l’argomento centrale di molti dei più recenti vertici ministeriali a livello europeo ed è anche uno dei temi usati dai leader dei principali Paesi per indicare la propria visione sul futuro dell’Europa.
Due sono, tradizionalmente, le motivazioni che ci spingono a ritenere necessaria una forte integrazione europea in materia di difesa.
La prima è quella che attiene all’efficienza che, in estrema sintesi, si traduce nell’ottenere di più con quanto si investe. Da decenni i Paesi europei nel loro insieme spendono meno della metà dei soli Stati Uniti, ma il rendimento di questa spesa, in termini di capacità operative, è molto più basso, forse meno del venti per cento. Il motivo è semplice ed è sintetizzato col termine “duplicazioni”: ogni Paese europeo tenta di riprodurre, su piccola scala, l’organizzazione militare di un Paese pienamente sovrano e indipendente, sicché abbiamo tutti la stessa tipologia di capacità militari ma non siamo in grado di sommarle fra loro, perché troppo gelosi della nostra autonomia.
Questo era vero quando l’economia cresceva ed è risultato ancora più vero durante la recente crisi. Tutti abbiamo ridotto le spese e tutti abbiamo tagliato le stesse capacità militari, senza alcun coordinamento. Così, in poco tempo, tutti i Paesi europei si sono ritrovati con le stesse carenze.
Ora che la tendenza negli investimenti militari è tornata positiva, la ragione per coordinarci meglio è divenuta davvero impellente per non ripetere i tanti errori del passato.
Quella dell’efficienza potrebbe sembrare un’argomentazione arida, ragionieristica, non all’altezza di un ragionamento sul futuro dell’Europa, ma così non è. Se, ad esempio, il Mercato comune europeo non avesse dimostrato nei fatti gli straordinari vantaggi economici dovuti alla sua maggiore efficienza, possiamo credere che tale pilastro centrale dell’architettura di integrazione europea sarebbe mai esistito?
La seconda motivazione tradizionalmente addotta per sostenere una difesa europea, dopo quella dell’efficienza, è quella dell’efficacia. Semplicemente, si ragiona, l’unione fa la forza; l’Europa unita è più capace di difendere i propri interessi e sostenere i propri valori.
La messa in comune delle risorse consente di dotarci di capacità militari altrimenti non sostenibili a livello nazionale e questa esigenza potrebbe divenire urgente nei prossimi anni. L’Europa non è più, purtroppo, “così prospera, libera e sicura”, come affermava Javier Solana nel 2003. La violenza ha raggiunto le nostre città e colpito tanti concittadini. Il sedicente “Stato islamico” è stato drasticamente ridimensionato ma l’estremismo e il terrorismo rimarranno, anche in futuro, una minaccia per l’Europa.
Altri rischi che sembravano distanti sono ormai concreti. Gli attacchi cibernetici, ad esempio, ma anche la minaccia militare convenzionale e quella portata con armi di distruzione di massa, ormai a disposizione di regimi senza scrupoli.
Avere una difesa efficace, quindi, non può più essere considerato un obiettivo da perseguire nel lungo termine, ma semmai una necessità già attuale. E nessuno di noi, in Europa, può fare da solo, di fronte a questo genere di minacce.
Queste due argomentazioni – quella dell’efficienza e quella dell’efficacia – sono più che sufficienti per indurci a muovere, con decisione, verso una nuova e più profonda integrazione delle nostre difese.
Eppure, c’è una terza e più forte ragione che ci spinge ora a procedere senza indugi.
L’Europa non è solo minacciata da fattori esterni. L’idea di Europa, l’idea di fratellanza fra i popoli europei, accomunati dagli stessi valori fondamentali e dallo stesso destino, è minacciata esplicitamente da una diffusa ostilità che assume differenti definizioni – nazionalismo, “sovranismo”, populismo – ma che in ultima analisi di caratterizza per un singolo tratto distintivo: il rigetto dei valori della tolleranza e della democrazia partecipata sui quali abbiamo ricostruito i nostri Paesi dopo le devastazioni delle guerre e dei totalitarismi.
Rinunciare a collocare in una dimensione europea i principali dossier che abbiamo sul tavolo e che definiscono il futuro che intendiamo costruire non rappresenterebbe semplicemente un rallentamento o una battuta d’arresto nel processo di integrazione europea. Rinunciarci oggi equivarrebbe a consegnare tali dossier alle strumentalizzazioni e alle deformazioni prodotte dalle ottiche dei particolarismi e dei nazionalismi.
Fra questi dossier “strategici”, il tema della difesa è fondamentale. Per le ragioni di efficienza ed efficacia già ricordate, alle quali si deve dare una risposta pena l’irrilevanza degli europei negli equilibri globali dei prossimi decenni. E perché una vera integrazione in tema di difesa costituisce un chiaro spartiacque fra due visioni sul futuro dell’Europa che difficilmente potranno coesistere ancora a lungo.