Crisi sistemica e rinnovamento della politica
di Sebastiano Maffettone
Un’ideologia contraria al sistema politico basato sui partiti ha caratterizzato tutta la vita della Repubblica italiana dal dopoguerra a oggi. Pur differenti tra loro le esperienze dell’Uomo qualunque, dei movimenti del 1968, del comunismo dei gruppuscoli e di quello omicida delle Br, della destra eversiva (dal generale de Lorenzo allo stragismo), della politica di Pannella giovane, persino di Funari (chi lo ricorda?), della Lega degli inizi, dei girotondini, dei centri sociali, dei No global, di alcuni populisti pro Berlusconi, degli indignati, dei No Tav e più sostanzialmente del 5 Stelle hanno questo leit motiv in comune: la denuncia dell’incapacità dei partiti di cogliere e affrontare i veri nodi della società civile e la proposta del Movimento come alternativa.
Nel passato, questi sussulti anti-partitici sono stati riassorbiti con una maggiore o minore – secondo i casi – facilità dai partiti tradizionali, a cominciare ovviamente da Dc e Pci, partiti di massa dotati di una cultura di base capace di opporre resistenza. Oggi questo recupero appare insieme assai impervio e quanto mai necessario.
Attraversiamo in sostanza una crisi di democrazia il cui ambito trascende senza dubbio i confini del nostro Paese, ma che tuttavia in Italia appare particolarmente grave. Una crisi di democrazia implica sempre un deficit di rappresentanza, ed è particolarmente così in un Paese a regime parlamentare con mandato imperativo. La ragione principale dietro il deficit di rappresentanza è costituita da una mancanza di legittimazione: il popolo non crede più ai suoi rappresentanti e quindi ai partiti. La legittimazione a sua volta deriva dalla capacità di dare assieme soddisfazioni materiali e riassicurazioni morali e psicologiche ai propri cittadini-elettori.
Ma il deficit di legittimazione ha conseguenze anche più generali e gravi. Non sono solo i partiti a risultare privi di credibilità ma in generale tutta la classe dirigente. Un alto ufficiale delle Forze armate, un magistrato, un professore, un giornalista – al pari di un politico – non sono mai presi sul serio per quello che dicono. Non sono creduti, perché ritenuti a vario titolo comprati e comunque corrotti. Questa credenza diffusa genera una frattura forse insanabile del discorso pubblico. Nessuno crede in quello che si dice e tutti sospettano di tutti.
Un recupero di credibilità del sistema politico italiano, e dei partiti, passa attraverso la rinascita di processi di democrazia deliberativa in grado di rendere i cittadini più competenti, più responsabili e più in grado di decidere. I frutti di questa mobilitazione epistemologica e politica dovrebbero costituire poi il cemento su cui costruire la nuova legittimazione dei partiti. D’altra parte, ci sono due modelli politologici in materia: il modello deliberativo, dove la deliberazione – cioè l’elaborazione delle politiche – avviene nelle società civile, e il ruolo dei politici consiste nell’applicare le politiche elaborate nella deliberazione della società civile; il modello rappresentativo, dove la deliberazione – cioè l’elaborazione delle politiche – è compito dei politici, che rappresentano gli interessi e le istanze delle società, e cercano una composizione. La differenza fra i due modelli è bene rappresentata in come s’intende il mandato dei parlamentari: nel primo modello, i parlamentari semplicemente applicano le proposte maturate nella deliberazione popolare, nel secondo modello, hanno invece libertà di mandato, e, pur rappresentando interessi larghi, elaborano autonomamente politiche. E se il secondo modello, cioè quello rappresentativo, non funziona più, allora bisogna giocoforza dare più spazio a quello deliberativo.
Un recupero di legittimazione da parte del sistema politico – via il modello deliberativo – passa necessariamente per un maggiore ascolto diretto del popolo sovrano. E ciò potrebbe avvenire anche tramite i new media a cominciare dagli strumenti che offre il web.
In forme differenti tra loro, con strumenti comunicativi diversi (dalle semplici e-mail e mailing list al sistema Wiki, dai social network ai siti qualificati e ai blog, dalle app interattive alle operazioni dei nuovi maker e così via) questo modo di mettersi in relazione produce un cambiamento profondo della sfera pubblica. Gli effetti potenzialmente utili per la democrazia di un sistema diffuso di produzione di informazione e conoscenza come questo sono evidenti. I vantaggi democratici della NIE in politica sono legati alla riduzione dei costi necessari per avere diritto di voice nel sistema politico. L’architettura di sistema cambia profondamente dal passato recente. Se teniamo presente l’effetto mediatico-politico della Tv – e in Italia come si fa a non tenerlo presente? – l’architettura di sistema cambia da un modello costituito da un grande hub centrale che raggiunge molti link periferici (milioni di utenti) unilateralmente a quello in cui un’architettura flessibile vede operare un insieme puntiforme di soggetti produttori di informazione. Questo comporta una sostanziale diminuzione dei costi intesi come barriere di ingresso nel sistema della comunicazione pubblica.
Il mutamento però non è solo quantitativo, ma anche qualitativo. Dal punto di vista qualitativo, il cittadino non è più solo elettore ma diventa protagonista della sfera pubblica con la possibilità di avere voce in essa e il diritto-dovere di assumersi responsabilità. Ciò dovrebbe favorire la partecipazione politica critica che è poi la base essenziale della democrazia deliberativa. Tutto questo dovrebbe inoltre diminuire l’eccesso di potere legato alla proprietà dei media tradizionali e creare nuove possibilità di impegno politico diffuso. La forza di controllo, che la diffusione di voice nel sistema politico genera, può avere effetti sorprendenti nell’ambito di un sistema democratico, a cominciare dalla protesta diffusa in rete che può servire a scoraggiare provvedimenti legislativi non apprezzati dalla popolazione.
Questi metodi sono visti come un modo tra gli altri per dare ascolto al popolo sovrano in periodo in cui la disaffezione verso i partiti e la frammentazione politica appaiono al massimo storico. Nuovi strumenti come Blockchain potranno essere di aiuto nel realizzare nuove possibilità di rappresentanza via web.
Nel 2008 un fantomatico Satoshi Nakamoto ebbe l’idea centrale, sarebbe a dire quella di adoperare una criptovaluta, chiamata bitcoin, per realizzare un protocollo capace di effettuare pagamenti nell’ambito di un sistema peer to peer elettronico. La prima e più evidente differenza tra una valuta del genere e quelle che adoperiamo normalmente è che bitcoin non è controllata da un’istituzione statale. Si regge invece su un protocollo formale costituito da un insieme di regole. Che è in grado di assicurare l’integrità dei dati scambiati in milioni di transazioni senza bisogno di ricorrere a un arbitro o a una terza parte. In sostanza, le transazioni in questione sono legittimate e autenticate dalla collaborazione di una massa enorme di persone. Il bitcoin, il modello originale, non è conservato da qualche parte ma è sempre pubblico e distribuito, e vi si accede attraverso una crittografia che prevede chiavi virtuali che funzionano più o meno come quelle di una cassetta di sicurezza in banca. Ogni dieci minuti circa tutte le transazioni avvenute sono verificate dal sistema, e sistemate in un blocco, che è a sua volta legato a un altro, venendo a creare così quella Blockchain da cui il metodo prende il nome. Il vantaggio del metodo stesso è che risulta praticamente impossibile rubare (bisognerebbe rifare tutta la catena daccapo). In questo modo, il metodo, garantendo trasparenza e accountability, genera fiducia diffusa.
Come si può immaginare, il risultato di creare fiducia nell’universo digitale è di straordinaria importanza. E si può cominciare a pensare ad applicazione del metodo in campi diversi da quello originario. A cominciare dalla politica, dove avrebbe il vantaggio democratico di non essere controllato dal centro (come invece lo è Rousseau di Casaleggio).
Questa nuova architettura politica non si discosta però troppo dalla funzione del partito classico. Semplicemente, si tenta di ripensare questa funzione del partito alla luce del cambiamento tecnologico e della esigenza corrente di nuova legittimazione. I partiti classici hanno sempre svolto la funzione di mediazione tra società civile e istituzioni. E non vi è dubbio che tale funzione sia imprescindibile. Ma il “modo” in cui questa funzione viene svolta deve, alla luce del cambiamento tecnologico e della crisi di legittimazione, cambiare.
Abbiamo fin qui suggerito una direzione in cui tale cambiamento potrebbe avvenire adoperando nuove tecnologie in un’ottica di democrazia deliberativa con l’intenzione di sanare una crisi di legittimazione sistemica. Siamo consapevoli comunque che adottare simili provvedimenti richiede contromisure di vario genere. Contromisure che partano dalle normali guarentigie costituzionali per arrivare alla consapevolezza che dare maggiore ascolto ai cittadini non equivale a rinunciare al ruolo dei partiti e alle funzioni tradizionali della politica. La crisi da cui siamo partiti dipende molto dalle difficoltà di “digerire” la globalizzazione da parte di gran parte dell’Occidente. Affrontare temi di portata epocale come questo implica la piena assunzione di responsabilità politiche da parte di una classe dirigente seria e preparata. Cosa che non può essere sostituita dal ricorso a nuove e sofisticate tecnologie di ascolto, anche se queste ultime non devono essere lasciate esclusivamente nelle mani di chi agita la protesta antisistema.