Sfidare il cambiamento
di Carlo Rognoni
“Democrazie a repentaglio”, “Democrazia senza popolo”, “La fine del dibattito pubblico: come la retorica sta distruggendo la lingua della democrazia”, “Non ti delego più: perché abbiamo smesso di credere nella loro politica”, “Populismo 2.0”, ma anche “Sinistra e popolo”, “Italia senza sinistra”, “La società orizzontale”. Sono solo alcuni dei titoli dei tanti saggi apparsi nei primi mesi del 2017 sia sottoforma di libri sia di articoli corposi di importanti riviste. Ci offrono tutti alcune chiavi di lettura della grande crisi che le democrazie occidentali stanno attraversando. Alcune idee che ho letto sono condivisibili, altre meno, e tuttavia tutte cercano di mettere il dito nella piaga che ci macera: i sistemi politici che abbiamo conosciuto dal dopoguerra fino ai nostri giorni sono come un gigantesco flipper andato in tilt.
Sembra andato in soffitta, per esempio, il tempo in cui bastava nutrirsi e trincerarsi dietro parole antiche, per molti di noi ancora ricche di significato, come uguaglianza, libertà, diritti umani, solidarietà, cosmopolitismo, pace. Dire che è su queste parole che possiamo costruire un programma, un progetto per il domani sembra non bastare più. Possibile che la globalizzazione, la finanziarizzazione dell’economia, la rivoluzione digitale nel sistema delle comunicazioni, ci stiano portando dentro una spirale di crisi di identità così forte da spingere giovani generazioni – ma non solo – a rifiutare le istituzioni rappresentative e i partiti storici e a guadare da un’altra parte? È come se dovessimo cambiare la domanda alla quale cercare di dare una risposta. Non più “chi siamo?”, “dove andiamo?”. Ma “come è diventato il mondo in cui siamo?”. Il problema di chi fa politica oggi – vale per la sinistra ma anche per la destra – non è che non sa dove andare, ma che non capisce dove si trova. “E se non sai dove sei, non puoi sapere che strada prendere” (Luca Ricolfi in un bel libro dedicato a “il conflitto politico nell’era dei populismi”).
“E se non sai dove sei…” Già, ma dove siamo? Siamo al centro di un processo di cambiamento, che forse sarebbe più corretto chiamare di “sconvolgimento” che negli ultimi 20/30 anni ha mutato nel profondo lo scenario dentro il quale ci muoviamo, costruiamo la famiglia, la società, viviamo. Eravamo società industriali, internet era di là da venire, il telefonino non era ancora stato inventato, le frontiere non era permeabili, la presenza degli stranieri era contenuta, il mondo era diviso fra Est e Ovest, ogni Stato europeo batteva la propria moneta, gli organismi sovranazionali contavano poco, gli Stati nazionali molto, l’inglese era una lingua come tante altre, poco più diffusa del francese o dello spagnolo, la gente non sapeva nulla di informatica e di tecnologie digitali, gli operai erano i protagonisti assoluti del conflitto sociale, lo scontro politico era fra destra e sinistra.
Difficile credere che con tutto quello che è successo negli ultimi decenni la scena politica e le élite non finissero per venire coinvolte, fino a essere stravolte.
Sono tanti i luoghi in cui si manifestano disagio, protesta, rifiuto (da internet ai comitati spontanei sui temi e argomenti più diversi), ma sempre meno vi sono luoghi in cui si elaborano analisi, proposte e soluzioni credibili e di lungo periodo.
Oggi la crisi della rappresentanza ha in sé qualcosa di irreversibile, di definitivo. E ha finito per assumere l’aspetto di un vero problema di legittimazione. “Vota e dimentica”: non vale più, la semplice delega al mondo dei partiti storici non convince più.
La crisi della rappresentanza è anche crisi della rappresentanza sociale, della mediazione dei “corpi intermedi”, dei grandi centri di produzione culturale, dei media tradizionali. Per questo si manifesta come “crisi di sistema, accresciuta da nuove forme di localismo e corporativismo.
Quando i livelli di informazione e di istruzione crescono, cresce anche la spinta a partecipare in maniera nuova, magari più diretta che in passato, alla soluzione dei problemi. E se non hai gli strumenti per farlo, finisci per astenerti, per chiuderti in te stesso.
Si può pensare di usare il voto non solo per eleggere, ma anche per decidere? Quello che mi sembra certo è che la democrazia per sopravvivere ha bisogno di cambiare. Ma può esserci una forma di “democrazia diretta”, tra il capo e il popolo, vedi Trump, Putin, Erdogan, senza scivolare su un tipo di “democrazia autoritaria” del nuovo millennio?
Sono questi alcuni dei temi centrali che ci riproponiamo di approfondire e sviluppare in una newsletter che periodicamente andrà ad arricchire, a completare il lavoro strategico, di alto livello culturale, di “Storia e memoria”, la rivista semestrale dell’Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea. La storia e la memoria della Resistenza e del Novecento ci aiuta a sapere da dove veniamo. Senza conoscere le nostre radici faremmo fatica a crescere, a pensare al nostro domani e a quello dei nostri figli e nipoti. Non c’è dubbio d’altra parte che è proprio nell’età contemporanea che dobbiamo tenere in vita i valori dell’antifascismo e del liberalismo, aggiornandoli al grande cambiamento che stiamo attraversando.