E perfino i liberisti ora invocano lo Stato

di Franco Praussello

 

È ormai opinione comune che la crisi del coronavirus si configuri come un nefasto cigno nero, un evento raro ma dal forte impatto, in grado di provocare in breve tempo conseguenze economiche e sociali potenzialmente devastanti. Di fronte ai pericoli temuti si stanno mobilitando, al di là delle comunità dei medici, degli scienziati e degli altri operatori del settore (che sopportano  da veri e propri eroi il peso immediato della salvaguardia delle vite dei contagiati), i poteri pubblici, che sono alla ricerca dei rimedi necessari per contrastarne i danni. Per quanto concerne l’impatto sulla situazione economica dei nostri Paesi e dell’Europa tutta, i nuovi pericoli si sommano a vecchie debolezze delle nostre economie: non solo l’Italia, ma la Germania stessa sono ormai virtualmente in recessione, e tutti danno per scontato che l’intera Ue dovrà fare i conti con una caduta del reddito consistente e con aumenti della disoccupazione.

In vista di queste emergenze le opzioni sul tappeto si moltiplicano, da quelle decisamente innovative di attivare il cosiddetto “denaro dall’elicottero”, trasferendo direttamente nelle tasche dei consumatori centinaia se non migliaia di euro, a quelle più tradizionali di  far ricorso alle politiche monetarie e di bilancio della Banca centrale europea (Bce) e dei singoli governi, o delle loro altre espressioni all’interno delle istituzioni dell’Unione. In aggiunta, l’incendio ormai in atto dell’edificio comune sta convincendo le autorità dell’Ue e i paesi “frugali” del nord, Germania e Paesi Bassi in primis, ad allentare le residue misure di austerità, sino a decidere la caduta del tabù del vincolo del 3 per cento ai deficit degli Stati, e persino il possibile raggiungimento del Graal dell’Unione:  la nascita dei mitici Eurobond, di cui un tempo i decisori tedeschi dicevano che per crearli sarebbe stato necessario passare sui loro cadaveri.

Nel contesto di questo quadro complicato, che andrebbe peraltro qualificato in dettaglio (per esempio, specificando che lo shock dell’offerta  dovuto alla caduta della produzione non può essere curato da misure monetarie ma solo da interventi di bilancio), emerge però un dato di grande interesse, che riguarda anche il nostro paese:  la riscoperta di Keynes e del ruolo dello Stato. Per una stagione lunghissima, dagli anni Settanta a quasi i giorni nostri, le ricette economiche basate sull’intervento dello Stato godevano di pessima fama, tanto che la stessa Grande Recessione seguita alla crisi del 2008, che abbiamo (quasi) alle spalle, era stata sì curata con rimedi keynesiani (i deficit pubblici anticiclici durante gli anni di Obama variavano dall’8 a quasi il 10 per cento, e quello della Francia raggiungeva il 7 per cento nel 2010), ma il tutto senza dirlo.

Le idee che andavano per la maggiore tra gli esponenti della dottrina neoliberista, allora imperante, erano che lo Stato fosse meno efficiente rispetto ai privati nel mettere in moto il processo di crescita e che anzi i suoi interventi fossero poco efficaci se non controproducenti. Sino a sostenere la teoria aberrante, dimostratasi in seguito empiricamente infondata, degli effetti espansivi del consolidamento fiscale, fola in base alla quale per contrastare una recessione fosse necessario non aumentare ma invece ridurre la spesa pubblica.

Oggi desta una certa sorpresa leggere che gli esponenti di punta della Scuola economica della Bocconi si siano convertiti all’impiego di politiche di contrasto alla caduta della domanda, rivalutando nei fatti la funzione dello Stato in economia, quello stesso Stato il cui peso nella società, secondo un loro giudizio sostenuto a lungo, avrebbe dovuto essere urgentemente ridimensionato. Benvenuti sulla terra degli uomini ragionevoli, anche se, passata la crisi, scandali come l’ennesimo  salvataggio e la possibile nazionalizzazione di Alitalia dovranno essere evitati: ragionevoli sì, ma non del tutto sprovveduti.

 

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Autore dell'articolo: Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell′Età Contemporanea

ILSREC - Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell'Età Contemporanea. Questo Istituto, fin dalla sua fondazione nell'immediato dopoguerra persegue, con spirito di verità e rigore scientifico, lo studio e la divulgazione dei molteplici aspetti che hanno mosso e caratterizzato la Resistenza, nel quadro degli eventi che hanno drammaticamente segnato l’intera storia del Novecento.

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