di Franco Praussello
L’esito della battaglia della Brexit, con il suo carico di disastri politici ed economici, era già probabilmente inscritto nei fatti, che avevano solo bisogno di essere interpretati in modo corretto, al di là della lettura populista oggi alla moda, che la considera come l’inizio della disgregazione dell’Ue.
E i fatti dimostrano almeno tre cose: che la Gran Bretagna, nonostante il suo glorioso passato di potenza imperiale, non è in grado di fare da sola in un contesto mondiale in cui contano soltanto le potenze continentali (reali come gli Usa, la Russia, la Cina e l’India) o in divenire (come l’Europa); che nei confronti del continente il Regno Unito si è messo nei panni del postulante petulante che va alla guerra rischiando di perdere i pezzi, a partire dalla Scozia; e che l’Unione europea, malgrado i suoi mille problemi, non ha reagito dividendosi, ma anzi serrando le fila. Di fronte all’alternativa fuori o dentro l’Unione, alla fine anche i governi sovranisti europei non hanno il coraggio di suicidarsi.
In attesa di vedere quale sarà la prossima mossa della partita, fra le varie opzioni sul campo per uscire dal doppio stallo – della Gran Bretagna e dell’Ue – provocato dalla sconfitta della May, i Paesi continentali dovrebbero soprattutto augurarsi che la Brexit non si concluda con la farsa del suo ritorno, coda fra le gambe, nel seno dell’Unione grazie a un secondo referendum. Questa scelta è contestata da molti, ma potrebbe essere la soluzione meno problematica, se è vero che in passato l’Unione ha seguito questa strada quando un primo referendum ha bocciato le proposte presentate alle opinioni pubbliche nazionali, dal referendum in Danimarca del 1992 su Maastricht, a quelli in Francia e in Olanda sulla Costituzione europea del 2006.
A prescindere dagli aspetti di natura economica, che giustificherebbero la rinuncia alla secessione della Gran Bretagna, la quale comporta perdite di reddito sia per quest’ultima sia per l’Unione, una scelta del genere sarebbe politicamente negativa. Per il metodo: decisioni complicate per recidere legami creati in decenni di integrazione non si possono prendere con l’accetta gordiana del sì o del no del referendum. E poi, e soprattutto nel merito: la Gran Bretagna ha sempre bloccato dall’interno l’evoluzione del processo di integrazione dei Paesi europei, come aveva anticipato il vecchio Generale de Gaulle, che la considerava il cavallo di Troia degli interessi Usa. E questo in un periodo in cui gli americani non erano ancora nemici aperti dell’Europa, come invece confessa oggi spudoratamente Trump.