di Roberto Sinigaglia
Lacrime e rabbia, il 20 gennaio scorso in Polonia, durante la cerimonia funebre di Pawel Bogdan Adamowicz, sindaco di Danzica, ferito a morte da un pregiudicato durante una manifestazione di beneficenza.
Adamowicz, giurista, aveva cinquantatré anni e dal 1998 guidava ininterrottamente la città. In gioventù era stato un organizzatore di scioperi studenteschi e aveva partecipato alla creazione delle prime associazioni pubbliche di opposizione. Come sindaco si è mostrato aperto alle modernità e all’Europa facendo di Danzica un centro di cultura e di tolleranza, in decisa controtendenza rispetto a una Polonia che si è decisamente spostata su posizioni reazionarie. Alle ultime elezioni del novembre 2018 era stato rieletto come indipendente da un’alleanza appoggiata dalla Coalizione Civica (KO, centrista) e da alcune formazioni di sinistra.
È questo il primo omicidio politico dalla fine del regime comunista in Polonia. Teatro della tragedia proprio Danzica che Gűnter Grass, ne Il tamburo di latta, descrisse come città multiculturale sempre al centro di forti conflitti e tensioni sociali. Nel dicembre 1970 un forte sciopero fu represso nel sangue dall’esercito; dieci anni dopo gli operai dei cantieri navali dettero vita a Solidarność, il primo sindacato indipendente nel blocco comunista. Fu l’inizio di grandi rivolgimenti che portarono nel giro di un decennio alla fine dell’impero sovietico e di tutto il sistema comunista nell’Europa orientale. Ma la Polonia che guidò la carica europeista degli ex Paesi socialisti e la festa collettiva che ne seguì con l’entrata nell’Unione europea nel 2004 sembra restare soltanto un pallido ricordo.
L’assassino, probabilmente uno squilibrato, dopo averlo pugnalato, è rimasto sul palco per rivendicare platealmente il delitto come risposta a una condanna che l’aveva trattenuto in carcere per cinque anni.
L’emozione è stata grandissima in tutta la Polonia: giornali online e programmi televisivi hanno trasmesso ad oltranza la notizia. Nelle lunghe ore di agonia, nelle quali i medici con disperati tentativi hanno provato a mantenerlo in vita, lunghe file di cittadini si sono recati a donare il sangue.
Al di là delle parole di rito pronunciate da Jaroslaw Kaczyński, leader storico del partito Diritto e Giustizia (PiS), questo gesto è purtroppo frutto del clima d’odio seminato in Polonia dalle forze di estrema destra. Significativa la manifestazione in occasione dei festeggiamenti per la giornata dell’indipendenza polacca tenutasi l’11 novembre scorso. Duecentomila dimostranti hanno occupato il centro di Varsavia. Dietro il corteo ufficiale, guidato dal capo dello Stato, Andrzej Duda, dal premier Morawiecki e dal leader storico della maggioranza sovranista Kaczyński, c’era una presenza massiccia di esponenti dell’ultradestra xenofoba, razzista e anti-Ue polacca e di camerati provenienti da ogni angolo d’Europa.
Secondo alcuni testimoni, la manifestazione di popolo che ha accompagnato il funerale potrebbe significare un cambiamento di una linea di tendenza. Come ha sottolineato Włodek Goldkorn, il fatto che la folla non abbia intonato “Dio che nei secoli hai protetto la Polonia”, ma che invece è stato cantato The sound of silence, starebbe a indicare che è nato un idioma internazionale della memoria. Nel commiato, la vedova Magdalena ha affermato: «Credo che il bene che seminava mio marito ora si diffonderà alle altre città e così finirà questa ondata di odio».