di Sergio Cofferati
La pandemia sta sconvolgendo gli assetti di una larga parte del mondo. Sono in primo luogo gli assetti economici, a questi seguiranno prestissimo quelli sociali e quelli politici. Intendendo per tali quelli che regolano le democrazie, sia quelle antiche che quelle più recenti. La scossa più forte è quella subita dall’Europa. La Cina, il primo luogo del contagio diffuso, in virtù di regole molto rigide e determinate non sembra ereditare dai problemi sociali ed economici avuti nessuna spinta al cambiamento dei suoi assetti. Per il momento è così anche per gli Stati Uniti, dove nemmeno le elezioni presidenziali sembrano condizionate dal dramma del virus. Nonostante gli errori, le bugie e le contraddizioni nell’agire del suo arrogante presidente. Così non è per l’Europa. Non solo per la diversità territoriale nella diffusione del virus e di conseguenza dei suoi effetti.
Le prime drammatiche conseguenze, a differenza della crisi prima finanziaria e poi economica/sociale del 2008, non hanno colpito i paesi più deboli ma quelli più forti: Germania, Francia, l’Inghilterra appena uscita dalla Comunità e, in maniera ancora più pesante l’Italia e la Spagna. Le difficoltà, i limiti e le contraddizioni dell’Unione Europea sono immediatamente esplose. A cominciare dal venir meno di alcuni valori fondativi, primo fra tutti la solidarietà. Ovviamente nessuno ha negato la vicinanza ai Paesi colpiti per primi, ma in molti hanno ostacolato la ricerca di politiche comuni per affrontare l’emergenza e ancor di più per trovare politiche finanziarie ed economiche necessarie per recuperare i vuoti enormi prodotti dal blocco produttivo determinato dagli effetti del virus e dalle scelte sanitarie necessarie per contrastarlo.
Non sono in campo solo idee e proposte diverse, come è normale che sia, ma queste vengono spese utilizzando i limiti e l’impianto contorto delle regole europee. Troppe sono le materie che, per effetto dei trattati vigenti, hanno bisogno dell’unanimità per partorire scelte e decisioni. Questo tra le altre cose finisce col dare un potere eccessivo a Paesi piccoli e non sempre animati da particolare spirito comunitario. Una politica assoggettata al vincolo dell’unanimità è quella fiscale. In questa circostanza la mancanza di una politica europea sul fisco rende possibile la vergognosa attività dei paradisi fiscali (tra questi alcuni Stati membri) e dei loro fruitori (tra gli altri molte aziende europee) che toglie risorse ai Paesi che ospitano la produzione materiale di queste aziende senza esserne fiscalmente compensati. Sono risorse necessarie per le politiche di questi Stati e lo sono ancor di più in una circostanza storica nella quale l’emergenza sanitaria e sociale devono essere affrontate come priorità assolute. Se poi il paradiso fiscale (valga l’esempio dell’Olanda) si oppone anche alle politiche di solidarietà il disastro è garantito.
Ora gli Stati devono trovare realisticamente delle mediazioni efficaci per affrontare le scadenze ravvicinate, lo devono fare utilizzando anche esperienze passate. Ad esempio nel 2011 il Parlamento approvò a larghissima maggioranza un documento che indicava proposte, anche fiscali, per affrontare la crisi finanziaria iniziata nel 2008. In quel documento si prevedeva l’istituzione degli Eurobond. Restò lettera morta per l’inerzia delle istituzioni comunitarie, potrebbe ora invece essere un buon punto di riferimento per la discussione e le scelte di oggi. Dicevo della necessità di trovare una mediazione alta ma contestualmente andrebbe deciso di avviare una fase di vera riforma dell’Unione. Solo la riscrittura dei trattati può consentire un cambiamento vero. Gli Stati devono cedere competenze e sovranità alle istituzioni comunitarie, la stessa cosa devono fare le rappresentanze di interesse. senza un salto di qualità vero anche l’auspicabile accordo dell’oggi avrebbe le gambe corte e la prossima crisi potrebbe essere fatale all’Unione Europea.
L’ articolo è stato redatto il 26 aprile 2020