L’Europa ci serve come e più di ieri – di Carlo Rognoni


Perché l’Italia ha bisogno dell’Europa? Così come ne ha bisogno la Francia, la Germania, la Spagna e via elencando? Perché la dimensione dei nostri Stati nazionali non è più sufficiente per muoversi, navigare, farsi ascoltare, restare e pretendere di essere protagonisti nel mare magnum della globalizzazione. Solo la dimensione continentale oggi consente di misurarsi meglio con le grandi rivoluzioni che hanno dato vita al mondo che conosciamo, un mondo che cambia a causa sia della rivoluzione finanziaria e ancor più a causa della rivoluzione digitale.

Anche grandi Paesi come gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, l’India con la sua popolazione di più di un miliardo di esseri umani, fanno fatica a non tradire le promesse di governare le loro realtà sempre più complesse e contraddittorie. E tuttavia la dimensione continentale dà a questi grandi Paesi un’arma in più – per
esempio proprio rispetto alle singole nazioni europee – per far fronte alla competizione e alle sfide mondiali.

Non dimentichiamo che è proprio l’Europa ad avere inventato lo Stato-nazione.
Il principio della sovranità territoriale, infatti, fu sancito dalla pace di Vestfalia, che nel 1648 mise fine alla guerra dei trent’anni. Alla fine dell’Ottocento le nazioni europee avevano ormai acquisito tratti comuni, gli stessi ancora oggi riconoscibili. La difesa, le tasse, la legge sono stati per decenni monopoli gelosamente custoditi dalle nazioni che mettevano sostanzialmente il destino nazionale nelle mani dei loro singoli governi. E questi governi si facevano carico di grandi progetti pubblici nel campo dell’istruzione, della sanità, dello stato sociale e della cultura.

Non è più così da almeno quarant’anni. Ed è come se le promesse dei singoli governi nazionali fossero state tradite. Senza che la consapevolezza sia cresciuta nei nostri cittadini. Con un evidente risultato: i governi sembrano girare a vuoto, sembrano avere sempre maggiori difficoltà nel dare risposte ai bisogni dei loro cittadini. E l’effetto è devastante: i partiti che per decenni hanno interpretato il bisogno pubblico, perdono drammaticamente consenso. E a pagarne le spese è la stessa democrazia rappresentativa.

In una bella e approfondita inchiesta intitolata “la fine degli Stati”, l’Internazionale, un settimanale che raccoglie e seleziona articoli dalle riviste di tutto il mondo, ci racconta di come sia ora di immaginare un
nuovo modello globale di convivenza.

“La nostalgia per l’età dell’oro dello stato nazione distorce il dibattito politico occidentale … I capitali non erano liberi di fluire incontrollati oltre i confini e le speculazioni valutarie erano trascurabili rispetto a oggi. I governi, in altre parole, avevano un controllo sostanziale sui flussi monetari, e se parlavano di cambiare le cose era perché erano effettivamente in grado di farlo… in un’epoca di crescita economica, senza precedenti, potevano dedicare grandi energie e risorse allo sviluppo del paese. Per alcuni decenni il potere dello Stato è stato monumentale – quasi divino – e ha creato le società capitalistiche più sicure e più eque mani conosciute.

“La distruzione dell’autorità dello Stato a vantaggio del capitale ha rappresentato l’obiettivo esplicito della rivoluzione finanziaria che definisce la nostra epoca. Di conseguenza, gli Stati si sono visti
costretti a tagliare le garanzie sociali per reinventarsi come custodi del mercato.

“Questo fenomeno ha drasticamente ridimensionato l’autorità politica nazionale, a livello sia reale sia simbolico. Nel 2013 Barack Obama ha definito la lotta alle diseguaglianze la sfida centrale del nostro tempo, ma dal 1980 in poi le diseguaglianze negli Stati Uniti sono cresciute senza sosta, nonostante le preoccupazioni di Obama …

“Il quadro è lo stesso in tutto l’Occidente: i redditi dei più ricchi continuano ad aumentare, mentre l’austerità imposta dopo la crisi ha azzoppato il Welfare State socialdemocratico. Oggi l’ira dell’opinione
pubblica si abbatte sui governi che si rifiutano di rispettare la loro antica promessa morale, ma la verità è che lo Stato ormai non ha molta scelta”.

Da qui il ragionamento che ci porta a puntare sull’Europa, su unadimensione continentale che sola può aprirci scenari nuovi.

Emblematica è la questione della spesa pubblica. Quella europea è la più grande del mondo, perché è la percentuale più alta del mondo del PIL più grande del mondo. Ma il 98 percento di questa enorme quantità di ricchezza è gestito dagli Stati nazionali, ossia ad una scala dimensionale sub-ottimale, strutturalmente inadeguata a fornire risposte ai problemi primari dei popoli: difesa e sicurezza, crescita e occupazione.

Ha detto recentemente in un convegno Giorgio Tonini, ex senatore del Pd, ex presidente della Commissione Bilancio della Camera: “La risposta politica populista, che si autodefinisce “sovranista”, perché propone di tornare indietro, di ripristinare la condizione nella quale lo Stato nazionale
deteneva il sostanziale monopolio della sovranità, è tanto efficace sul piano comunicativo, di costruzione del consenso, quanto controproducente su quello dei possibili effetti: perché se i problemi hanno acquisito una scala dimensionale sovranazionale non c’è, non può esserci nessuna via d’uscita
nel ripristino, o anche solo nella difesa a oltranza di una sovranità ormai svuotata di potere reale
”.

E concludeva dicendo parole che condividiamo in pieno: “La via d’uscita dalla crisi della sovranità degli Stati nazionali europei non è la rabbiosa nostalgia per un passato che non può tornare, ma il rilancio del progetto europeo, l’unico che può restituire fiducia e speranza ai popoli e ai cittadini europei”.

Ha scritto recentemente Romano Prodi in un articolo su Il Messaggero: “Siamo consapevoli degli errori e delle mancanze della politica europea degli ultimi anni ma siamo altrettanto consapevoli che, solo con la costruzione europea, si è formata l’Italia moderna e si è per la prima volta garantita la pace al nostro Paese per un periodo di tre generazioni”.

Ora in vista delle prossime venture elezioni la posta in gioco è enorme. Si tratterà di un referendum fra coloro che vedono il nostro futuro insieme alle altre democrazie europee e coloro che ci vogliono fuori dall’euro e quindi dall’Europa, come un vaso di coccio in mezzo ai vasi di ferro.

 

 

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Autore dell'articolo: Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell′Età Contemporanea

ILSREC - Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell'Età Contemporanea. Questo Istituto, fin dalla sua fondazione nell'immediato dopoguerra persegue, con spirito di verità e rigore scientifico, lo studio e la divulgazione dei molteplici aspetti che hanno mosso e caratterizzato la Resistenza, nel quadro degli eventi che hanno drammaticamente segnato l’intera storia del Novecento.