Orbán, l’amico di Salvini che non sa contare fino a 3 – di Pirkko Peltonen con la collaborazione di Ildiko Oze

A guardarlo oggi Viktor Orbán, primo ministro dell’Ungheria, con il suo incedere autorevole e con i suoi discorsi autoritari, non assomiglia neanche un po’ a quello studente barbuto che, nel 1988, con i suoi compagni d’università, fondò la Fidesz (Associazione dei Giovani Democratici, costola della SzDSz, Associazione dei Liberi Democratici). Erano gli anni in cui in Ungheria, prima e con più creatività degli altri Paesi dell’Est Europa sovietizzata, nacque una vivace società civile.

Gli ultimi anni del socialismo magiaro erano caratterizzati da aperture che per esempio nella rigidissima Repubblica Democratica Tedesca (DDR), in quei tempi, erano impensabili. In quegli anni, fine 1980, approdò a Budapest anche la Fondazione Soros, finanziata dal multimiliardario György Soros, ebreo ungherese fuggito negli Stati Uniti nel 1948. Lo scopo dell’Open Society di Soros era quello di aiutare i Paesi dell’Est nel loro passaggio verso la democrazia, finanziando progetti, start up e borse di studio.

Fu grazie ad una borsa di studio della Fondazione Soros che anche Viktor Orbán passò un anno di specializzazione ad Oxford. Gli studi si interruppero, perché nel 1990 in Ungheria furono allestite le prime elezioni multipartitiche, e Fidesz vi volle partecipare. In Ungheria, come in tutto l’Est europeo, sulle macerie del socialismo reale, dopo il ritiro delle truppe sovietiche, si voleva costruire una nuova società, aperta, liberale, di economia di mercato. Passaggio difficile, con conseguenze inaspettate.

Altri tempi. Sono passati quasi vent’anni, e le idee liberali degli studenti d’un tempo sono sfociate nella creazione di un partito egemone, la Fidesz, con alla guida un solo uomo, Viktor Orbán. Dall’inizio degli anni 1990, il partito vira verso posizioni più conservatrici, anche in opposizione ai vari governi socialdemocratici succedutisi. Vengono creati i “circoli dei moderati” in tutto il Paese. In coalizione, prima, poi da sola, la Fidesz conquista il potere del Paese. Dall’aprile 2018 abbiamo il quarto governo di Orbán, forte dei due terzi dei parlamentari. Strada facendo, nuove parole d’ordine sono state aggiunte: “l’identità magiara”, “la cristianità”, “gli ungheresi prima di tutti”.

“Lo Stato nuovo che noi costruiamo”, disse Orban nel 2014, dopo un nuovo successo elettorale, “è uno Stato illiberale, che si basa non esclusivamente sugli interessi individuali, ma ritiene più importante il Bene Pubblico”. Il “Bene Pubblico”, nel corso degli anni, ha significato cambiamento della Carta costituzionale; decreti per depotenziare i poteri della Corte costituzionale, dei giudici; per cambiare la legge elettorale di modo da garantire la maggioranza Fidesz al Parlamento, anche grazie alla cittadinanza concessa alle comunità ungheresi che vivono nei Paesi limitrofi, la Romania e la Slovacchia. Ha significato permettere agli oligarchi di mettere le mani sui fondi europei; ha significato la soppressione della libertà di stampa e l’occupazione dei media da parte degli amici del partito egemone, la mano dura su programmi e testi scolastici. Ha significato la morte della società civile ungherese. E l’ex-benefattore Soros oggi è il nemico numero uno dell’Ungheria di Orbán.

Quando, nel 2015, arrivò la grande ondata dei profughi per via dei Balcani, ecco trovati nuovi slogan per rafforzare la coesione nazionale. “Dobbiamo difendere la nostra fede cristiana e il nostro colore bianco!” fu detto dagli uffici del potere. Poco dopo, settembre 2015, fu creato il gruppo di Visegrad (Ungheria, Polonia, Cechia, Slovacchia), Paesi fermamente contrari all’accoglienza dei migranti. Agli inizi, concordarono che la soluzione del problema dei profughi dovesse essere cercata a livello europeo. Dopo l’ultima riunione a Bruxelles, hanno portato a casa il risultato sperato: ogni Paese si regola come vuole. Quelli di Visegrad si regoleranno come oggi: nessun profugo sul loro suolo.

Con la Russia di Putin, dimenticati gli attriti con l’Unione sovietica, i rapporti sono ottimi. E fu Orbán il primo capo a felicitare il dittatore turco Erdogan dopo la vittoria nelle recenti elezioni. Da Putin ha imparato anche come raddrizzare la schiena della nazione: la diversità diventa devianza. Vi ricordate il film su Billy Elliot, figlio di un minatore gallese che arrivò a coronare il suo sogno di diventare ballerino classico? Ebbene, l’ultimo giornale politico (conservatore), Magyar Nemzet, non allineato con il potere, una volta chiuso anch’esso (sotto le elezioni) e poi “statalizzato”, ha recentemente condotto una campagna contro il musical basato sulla storia di Billy Elliot, perché “induceva ai comportamenti omosessuali presso la gioventù ungherese”.

L’onda identitaria e sovranista magiara arriva in Italia anche in forma di fake news. La bufala dei “musulmani che vogliono obbligarci ad usare numeri arabi” proviene dall’Ungheria dove circolava già mesi fa: ma i numeri arabi (1, 2, 3 e all’infinito) sono in uso ovunque dal Tredicesimo secolo dopo Cristo.

E chi mai, in Italia, avrebbe conosciuto Soros, (“lo speculatore che vuole far sparire la cristianità; che vuole distruggere tutta l’Europa; che ci vuole tutti musulmani”) se non per via di fake news di provenienza magiara? Oggi è anche sulla bocca del ministro Matteo Salvini: “Soros, questo multimiliardario che finanzia le navi delle Ong e vuole riempire l’Europa di migranti” (“In Onda”, La7, 03.07.18),

Con Soros, i conti in Ungheria sono fatti. La Fondazione Soros di Budapest è stata chiusa (si trasferisce a Berlino), come altre organizzazioni civili di provenienza sospetta, “straniera”. E il Parlamento ungherese ha appena varato una nuova legge “Stop Soros”: è punibile chiunque offra aiuto, assistenza o anche informazione ai migranti.

Il partito di Orbán, nell’Unione europea, è iscritto dal 2000 al Partito popolare europeo, che in diverse occasioni ha provato ad ammonire la svolta, appunto “illiberale” del partito. Con poche conseguenze, anche perché i discorsi dei rappresentanti magiari, feroci in patria, hanno sempre trovato modi più felpati a Bruxelles. Le preoccupazioni del PPE sono destinate a lasciare il tempo che trovano, perché dopo le prossime elezioni europee, primavera 2019, i sovranisti europei con tutta probabilità faranno compatti il loro ingresso al Parlamento europeo. “La Lega delle Leghe” di Salvini li unirà?

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Autore dell'articolo: Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell′Età Contemporanea

ILSREC - Istituto Ligure per la Storia della Resistenza e dell'Età Contemporanea. Questo Istituto, fin dalla sua fondazione nell'immediato dopoguerra persegue, con spirito di verità e rigore scientifico, lo studio e la divulgazione dei molteplici aspetti che hanno mosso e caratterizzato la Resistenza, nel quadro degli eventi che hanno drammaticamente segnato l’intera storia del Novecento.