FATTI
1945
• 31 gennaio
Sul fronte orientale l’esercito sovietico attraversa il fiume Oder, situato a circa 100 km da Berlino.
• 9 marzo
Sul fronte occidentale l’esercito americano supera il fiume Reno e occupa Bonn, situata a circa 500 km dalla capitale del Reich.
• 1° aprile
Fronte italiano: in una riunione convocata presso il quartier generale di Novi Ligure e presieduta da Heinrich von Vietinghoff, comandante delle truppe tedesche nel Mediterraneo subentrato a Albert Kesselring, ai vari comandanti vengono confermati gli ordini di distruzione, da attuarsi nelle principali città dell’Italia settentrionale al momento della ritirata, in conformità alla volontà del Führer (“Piano Z”) di fare “terra bruciata” di ogni territorio abbandonato.
• 8-10 aprile
Il Comando militare della VI zona partigiana (corrispondente a grandi linee all’attuale provincia di Genova) comunica agli agenti della missione britannica “Clover” la definitiva versione del Piano A concernente l’insurrezione per la liberazione di Genova. Alcune riserve dei militari britannici, preoccupati per i possibili sviluppi politici di una sollevazione di massa in cui maggioritaria era la componente comunista e socialista, sono respinte.
• 9 aprile
Sul fronte italiano, dopo la pausa invernale annunciata il 13 novembre 1944 dal “proclama Alexander” e protrattasi per oltre quattro mesi a causa delle pessime condizioni atmosferiche, riprendono le operazioni belliche degli Alleati, che avrebbero definitivamente sfondato la Linea Gotica e costretto alla resa, nel giro di soli tre settimane, le ormai logore truppe tedesche dislocate nella penisola.
• 11 aprile
Primo colloquio a Genova, nella più assoluta segretezza, tra il generale Günther Meinhold e l’esponente della Resistenza Carmine Alfredo Romanzi, nome di battaglia “Stefano”. Meinhold vuole sondare la disponibilità della Resistenza genovese a una trattativa che consentisse la ritirata indisturbata delle forze tedesche dal capoluogo ligure.
• 17 aprile
Secondo colloquio, sempre nella più totale riservatezza, tra il generale tedesco e l’esponente partigiano.
• 23 aprile
Pomeriggio: terzo colloquio tra Meinhold e Romanzi.
Tardo pomeriggio: una colonna tedesca, a cui si aggregano circa 1500 uomini della Brigata Nera Silvio Parodi e della Guardia nazionale repubblicana, si appresta a lasciare Genova.
Rendendosi conto che stava per iniziare la ritirata, seppur parziale, dei tedeschi, le SAP della zona di Genova-Sestri, senza attendere l’ordine del CLN, iniziano la sollevazione, riuscendo in breve tempo a occupare obiettivi strategici (stazioni ferroviarie, stabilimenti, arterie di transito) del ponente cittadino. Anche in val Polcevera e in alcune zone del centro iniziano gli scontri.
• 23 aprile sera
Alle ore 20.30 ha inizio, presso il Collegio di San Nicola, ubicato a fianco dell’omonima fermata della funicolare Zecca-Righi nella zona di Castelletto, la riunione del Comitato Liberazione Nazionale Liguria per decidere se dare il via oppure no all’insurrezione generale. Il Comando germanico, tramite il cardinale
Pietro Boetto e il vescovo ausiliare Giuseppe Siri, in contatto con Paolo Emilio Taviani rappresentante della Democrazia cristiana (DC) nel CLN, aveva fatto sapere di essere disposto a rinunciare alla distruzione del porto di Genova in cambio di quattro giorni di tregua che avessero permesso una ritirata sicura dell’esercito tedesco.
Alla riunione, oltre a Taviani, che svolge la funzione di presidente, e all’altro democristiano Loi, partecipano il repubblicano Pietro Gabanizza, Cassiani Ingoni di Giustizia e Libertà, i liberali Errico Martino e Giovanni Savoretti, il socialista Tosi. Sono presenti anche i membri del Comitato militare regionale, guidato da Enrico Martinengo. Mancano invece i rappresentanti comunisti, impegnati in altre riunioni: Pessi, rappresentante del PCI nel CLN raggiunge San Nicola all’alba del 24 mentre più tardi, nel corso della mattinata, arriva il socialista Faralli, appena liberato dal carcere di Marassi.
La discussione è molto accesa e sofferta poiché non vi è accodo sull’opportunità di dare inizio alla sollevazione e solo a notte fonda, con quattro voti a favore e due contro, il CLN decide di dare il via all’insurrezione in una città che – lo si tenga bene a mente – era ancora presidiata dall’esercito tedesco.
• 24 aprile
Infuriano i combattimenti e lo scontro più cruento si svolge a piazza De Ferrari, ove viene impedito il passaggio di una formazione tedesca, costretta a lasciare sul campo 3 cannoni e 2 autocarri carichi di munizioni.
la “battaglia” di piazza De Ferrari
Mentre alcune delegazioni, come Sestri Ponente, Cornigliano, Pontedecimo, Bolzaneto, Rivarolo e, nel levante, Quinto e Quarto erano già libere, altre aree cittadine rimanevano ancora saldamente in mano ai tedeschi, asserragliati soprattutto in porto, attorno alla stazione ferroviaria di Principe e a Nervi, sulle cui alture era posizionata la batteria di artiglieria di monte Moro.
In quella stessa mattina, dopo la conquista di Palazzo Tursi, sede del Comune, della Questura e del carcere di Marassi, il CLN assume le funzioni di governo della città, adottando i primi provvedimenti.
Genova però non era ancora libera e gli scontri proseguivano.
In serata le Brigate volanti Severino e Balilla, posizionate sulle alture dell’entroterra genovese, raggiungono, rispettivamente, i quartieri di Molassana e Bolzaneto, fornendo il loro apporto.
Alle ore 22.00 Carmine Romanzi, il “contatto” del generale Meinhold, viene incaricato dal CLN di raggiungere, a bordo di un’ambulanza, Savignone, località distante una trentina di km da Genova, ove aveva sede il quartier generale del comandante tedesco: reca con sé una lettera del CLN e del Comando regionale militare, che intimava al generale la resa senza condizioni, e una missiva del cardinale Boetto, con una supplica per la salvezza della città.
• 25 aprile mattina
All’alba riprendono i combattimenti nelle zone ancora occupate: alle 9.00 le SAP di Sestri espugnano il Castello Raggio di Cornigliano (demolito nel dopoguerra quando venne realizzato il complesso siderurgico) e poco dopo si arrendono i presidi tedeschi di Voltri, Prà e Arenzano. In mattinata sono conquistati piazza Acquaverde (ma non la stazione di Genova Principe), le caserme di Sturla, l’ospedale di Rivarolo e diverse aree della val Polcevera. Nel frattempo, alle 6.00 del mattino, Carmine Romanzi era giunto a Savignone, dopo un viaggio durato ben 8 ore. Dopo un lungo colloquio e conscio della situazione venutasi a creare – Genova in preda all’insurrezione, le statali 35 dei Giovi e 45 della val Trebbia controllate dalle forze della Resistenza – Meinhold decide di arrendersi.
• 25 aprile pomeriggio
Partita alle 10 del mattino da Savignone, l’ambulanza con a bordo Meinhold e Romanzi, seguita da una vettura con il fedele capitano Asmus e l’interprete, giunge intorno alle 15.00 nel centro cittadino, ove risuonavano ancora gli spari e le detonazioni. L’incontro con gli uomini della Resistenza avviene a Villa Migone, dimora privata del cardinale Boetto nel quartiere di San Fruttuoso.
Finalmente, alle ore 19.30, Meinhold firma la resa nelle mani di Remo Scappini, presidente del CLN ligure
• 26 aprile
La resa viene rifiutata dagli uomini della Marina tedesca (Kriegsmarine) al comando di Max Berninghaus, che considera Meinhold un traditore. Dalle batterie di monte Moro il comandante Weegen avanza la richiesta di libero transito per i suoi uomini verso le Alpi, minacciando in caso contrario di bombardare Genova. La richiesta viene respinta e alla minaccia tedesca si risponde con una contro-minaccia: se fossero stati sparati colpi di cannone sulla città, i partigiani non si sarebbero attenuti al rispetto della Convenzione di Ginevra, uccidendo i prigionieri tedeschi nelle loro mani.
Gli uomini della Kriegsmarine si arrenderanno il giorno seguente, all’arrivo degli americani.
• 27 aprile
La 92ª Divisione americana Buffalo entra, senza aver dovuto sparare un solo colpo, in una città liberatasi con le proprie forze. Il generale americano Edward Almond si congratula con gli uomini della Resistenza.
I prigionieri tedeschi sono condotti allo stadio di Marassi, luogo di temporanea detenzione.
Il 1° agosto 1947 è stata conferita alla città di Genova la Medaglia d’oro al Valor militare, con la seguente motivazione:
“Amor di Patria, dolore di popolo oppresso, fiero spirito di ribellione, animarono la sua gente nei venti mesi di dura lotta il cui martirologio è nuova fulgida gemma all’auro serto di gloria della “Superba” repubblica marinara.
I 1963 caduti il cui sangue non è sparso invano, i 2250 deportati il cui martirio brucia ancora nelle carni dei superstiti, costituiscono il vessillo che alita sulla città martoriata e che infervorò i partigiani del massiccio suo Appennino e delle impervie valli, tenute dalla VI Zona operativa, a proseguire nella epica gesta sino al giorno in cui il suo popolo suonò la Diana della insurrezione generale.
Piegata la tracotanza nemica otteneva la resa del forte presidio tedesco, salvando così il porto, le industrie e l’onore. Il valore, il sacrificio e la volontà dei suoi figli ridettero alla madre sanguinante la concussa libertà e dalle sue fumanti rovine è sorta la nuova vita santificata dall’eroismo e dall’olocausto dei suoi martiri”.
9 settembre 1943 – aprile 1945
Il porto di Genova alla fine della guerra
Il bombardamento navale di Genova (nome in codice operazione Grog) che ebbe luogo la mattina del 9 febbraio 1941 ad opera della Royal Navy fu il secondo e ultimo attacco via mare che subì il capoluogo ligure dopo quello francese avvenuto il 14 giugno dell’anno precedente.
Da quel giorno, fino alla fine del conflitto in Italia, la città subì altri pesanti attacchi, ma esclusivamente aerei, perlopiù diretti sulle infrastrutture del porto.
Nell’arco dei cinque anni di guerra si contano 86 incursioni aeree sulla città, di cui ben 51 nel solo 1944. Dopo cinque anni di bombardamenti, il bilancio per danni subiti è assolutamente drammatico, la città è semidistrutta, e il porto danneggiato al punto da risultare inutilizzabile: tutte le costose opere di ammodernamento realizzate durante il ventennio fascista sono andate perse, il bacino è disseminato di mine altamente pericolose, gli ingressi in porto sono ostruiti da imbarcazioni affondate appositamente dai tedeschi durante la ritirata, anche i moli sono gravemente danneggiati.
Nonostante i gravi danni subiti il futuro dello scalo genovese non risulta irrimediabilmente compromesso, essendo rimasta integra la diga foranea, barriera indispensabile per la difesa dei moli dalla furia del mare e per la funzionalità delle operazioni portuali.
veduta odierna del porto e della diga foranea
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Istituto Ligure per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea
Liceo Scientifico Statale G. D. Cassini Genova