Fillak


 

Walter Fillak

Walter Mario Giuseppe Fillak nasce a Torino il 10 giugno 1920.
Dei primi diciotto anni della sua vita non sono stati rintracciati dati documentali.
Nel 1938 viene espulso dal liceo scientifico Cassini di Genova “per l’irriflessibilità giovanile e per le sue affermazioni non consone allo spirito d’un giovane fascista”, come si legge nella lettera mandata dalla scuola alla famiglia. Conseguita privatamente la maturità scientifica si iscrive alla facoltà di chimica industriale dell’Università di Genova ed è in questo periodo che incontra Giacomo Buranello, con il quale fonda una cellula comunista studentesca in collegamento con analoghi gruppi di Torino, Casale, Livorno e Roma; successivamente stabilisce i primi contatti con gli operai di Sampierdarena.
Nell’inverno 1940-41 Buranello e Fillak fondano il “Comitato centrale”, che si riunisce in un primo momento nella casa sampierdarenese di Buranello e successivamente in quella di Edgardo Pinetti a Sturla; tra i collaboratori dei due vi sono gli studenti Giovan Battista Vignolo e Ottavio Galeazzo, l’impiegato Raffaello Paoletti, il commesso Edgardo Pinetti, l’operaio Emilio Guerra e il falegname Cesare Bussoli.
Il ruolo di Fillak, all’interno del Comitato, consiste nel curare l’ambiente studentesco, diffondere volantini contro il fascismo e gestire alcuni gruppi del centro cittadino.
L’11 ottobre 1942 è arrestato, insieme a tutto il direttivo genovese del PCI, dall’Ovra, la polizia segreta fascista, e viene tenuto a disposizione sia del Tribunale Speciale sia di quello militare, essendo stato nel frattempo chiamato alle armi.
Dopo una detenzione trascorsa nel carcere genovese di Marassi, Massa Carrara e Regina Coeli a Roma, viene liberato il 31 agosto dell’anno successivo.
Entrato, dopo l’8 settembre, nella Resistenza (nome di battaglia “Gennaio”), opera sull’appennino ligure-alessandrino nella 3ª brigata Liguria e collabora alle azioni compiute dai GAP a Genova (sarà lui ad accompagnare in città Buranello il 28 febbraio 1944). Scampato al rastrellamento della Benedicta e attivamente ricercato, si reca dapprima a Milano e poi, non essendo riuscito a raggiungere la Jugoslavia, in Svizzera, ove resterà per tre mesi a Losanna, ospite nella casa dell’editore Giulio Einaudi.
Rientrato in Italia, questa volta con lo pseudonimo “Martin”, diviene commissario politico nella zona di Cogne, in valle d’Aosta, comandante della 76 ª brigata Garibaldi e, successivamente, della 7ª divisione Garibaldi Piemonte. Catturato presso Ivrea, insieme all’intero stato maggiore della divisione, nella notte tra il 29 e il 30 gennaio 1945 in seguito ad un’imboscata, è processato il 4 febbraio. Il giorno successivo – a differenza dei membri del suo comando che saranno fucilati – verrà impiccato e l’esecuzione dovrà essere ripetuta, essendosi spezzata la corda del telefono inizialmente utilizzata.

La detenzione (ottobre 1942-agosto 1943)

Pubblicate dall’Anpi di Cuorgnè nel 1975, in occasione del 30° anniversario della lotta di Liberazione, le lettere dal carcere di Fillak sono un documento straordinario, frutto dell’operosità del padre Ferruccio, che raccolse le lettere e partecipò alla realizzazione del volume.
Da esse emergono spaccati del quotidiano di Walter, durante il periodo della detenzione carceraria, che consentono di capire le esigenze del prigioniero (il denaro, gli indumenti e soprattutto i libri, per una sete di cultura inappagabile), ricostruirne il pensiero, comprenderne le convinzioni ideologiche ed apprezzarne la tenacia e l’ottimismo di partigiano irriducibile.
Entrato in carcere l’11 ottobre 1942, già nella successiva settimana prende il via la corrispondenza epistolare con i componenti della sua famiglia: padre e madre sono i destinatari più frequenti e tramite loro saluta e, affettuosamente, “minaccia” la sorella Liliana, esortandola allo studio e descrivendo, per contrasto, la sua situazione in cui tanta era la voglia di apprendere e studiare quanto ardua la possibilità di poterlo fare, per la mancanza di carta e penne.
Walter Fillak è ottimista: il suo “in alto con il morale”, rivolto a un padre pessimista e a una madre disperata, si ripete costantemente nelle lettere e diviene un inno alla vita da parte di chi, contro di essa, rifiuta di perdere la battaglia. Primo elemento che non si può trascurare è l’umanità del nostro protagonista, evidenziata dalla spontaneità con cui scrive ai genitori, dal senso dello humor con cui critica le istituzioni, ironia sdrammatizzante che trasmette l’immagine di una persona serena, in pace con se stessa.

Ci sono “tanti Fillak” in questa raccolta di lettere. Il primo è anzitutto un Fillak pragmatico, che dal carcere di Marassi chiede tutto ciò che è necessario per una buona sopravvivenza, alla luce della nuova routine: ginnastica al mattino, pulizia personale, ordine della cella e poi, soprattutto, la lettura. Un Fillak che ha la lucidità di preoccuparsi della sua situazione, che ricorda al padre di essere iscritto d’ ufficio all’ università per l’anno seguente e che non vuole nessun avvocato, ritenuto solo una spesa inutile.

un lettore arrabbiato

Leggere, in carcere, è un bisogno vitale, uno strumento indispensabile per sentirsi vivi, per mantenere la mente allenata ed anche per evadere dalla restrizione di libertà. Questa pare essere l’opinione di Fillak che si definisce un “lettore arrabbiato” e se c’è una cosa che colpisce scorrendo questi suoi scritti è la varietà di scelte: affronta, infatti, ogni tipo di tematica con intenti diversi. Tra i suoi interessi ci sono gli studi scientifici e universitari da portare avanti – grazie alla pazienza e disponibilità del padre potrà ricevere in carcere testi di fisica e chimica -, poi studi dettati unicamente dalla sete di conoscenza: da autodidatta impara il tedesco e apprende, da un compagno di cella, il croato.
Goethe, Balzac, Nietzsche, Maucaulay, Carlyle, Montesquieu, Schopenhauer, Manzoni, Fogazzaro, Mazzarino, Franklin, Romagnosi, Goldoni, Alfieri, Confucio, Tacito sono solo alcuni degli autori a cui si rifà per le sue letture.
Di filosofia legge spaziando dai classici ai contemporanei, dai metafisici ai materialisti, elaborando un proprio pensiero, un realismo radicale:

“sono materialista evoluzionista, dopo Einstein il materialismo è diventato una scienza: odio tutte le forme religiose e morali che vogliono spingere l’uomo a disinteressarsi della vita terrena, a disprezzare tutto ciò che ci circonda e condannare tutto ciò che intorno a noi e in noi vive e opera. Io credo che se ci sentiamo migliori abbiamo il dovere e la missione di intervenire ed operare affinché il mondo umano migliori nella vita stessa”.

Dalla citazione si evince quanto fosse importante per Fillak la capacità di non ancorarsi a nessun sistema preciso, onde evitare di trovarsi in una situazione in cui non ci sia spazio per un pensiero che guidi l’azione e faccia i conti con la realtà, mutevole e relativa.
Una consapevolezza che non deve però giustificare, sul piano etico-politico, la rinuncia all’impegno e al sacrificio: in una lettera alla madre scrive infatti:

“Non abbattersi di fronte a nulla. Essere fedeli sempre al proprio dovere, ai principi sani dell’onestà. Sacrificare tutto al dovere piuttosto che abbassarsi a raccattare quattro soldi della così chiamata felicità e prostituire la propria mente, il proprio sentimento, il proprio cuore“.

Con la medesima serenità d’animo – “attendo con la solita serenità e sorridente indifferenza” – aspetterà il verdetto del Tribunale Speciale, scorgendo nella sua esperienza detentiva un qualcosa di utile per la sua formazione.

L’esecuzione

Fillak, allora comandante della 7ª divisione Garibaldi, viene catturato a Lace, nei pressi di Donato in provincia di Vercelli, con l’intero stato maggiore.
I prigionieri sono condotti a Cuorgnè, per essere processati.
Ecco, nelle parole di un partigiano della 77ª brigata Garibaldi detenuto nella caserma di Cuorgnè, il clima di euforia sprigionatosi alla notizia della cattura:
“nel pomeriggio c’era nella caserma un’aria insolita; i tedeschi, tutti allegri si davano da fare a preparare una cella all’ultimo piano (quella che doveva ospitare i garibaldini della 76ª ). Era dunque previsto l’arrivo del camion verso sera; intanto si sentiva qualche frase pronunciata in tedesco nel corridoio, frase che io capivo e che diceva testualmente: “tra poco deve arrivare un grande generale partigiano; questa sera lo festeggeremo”. E nel corridoio antistante la mia cella era un continuo via-vai di soldati che preparavano bottiglie di liquori, strumenti musicali ecc… tutto il necessario insomma per festeggiare l’arrivo di Walter”.

Sebbene fosse un nemico, Fillak suscitò viva impressione presso i suoi carcerieri, che lo descrissero come un idealista, “grande eroe”, “ uomo di polso ed un vero patriota”.
Arrivato il suo turno di interrogatorio, Fillak viene poi rispedito in cella, dove per alcuni giorni avrà modo di parlare, con un compagno, della sua famiglie, idee, passioni e di scrivere una lettera al padre e alla fidanzata Ines.

Caro Nando, io vado a morire

ma sono tranquillo

Comunicatagli infine la sentenza di morte, Fillak chiederà di avere ancora mezz’ora di tempo per scrivere un’ultima lettera alla madre. Salutato il compagno di cella – “caro Nando, io vado a morire, ma sono tranquillo e contento soprattutto di morire per la nostra grande idea!” – , Fillak viene prelevato dalle guardie e “calmissimo […], sorridente e sereno come se andasse a una festa”, secondo la testimonianza del citato Nando, si avvia al suo destino.
Legato e fatto salire su un camion, Walter Fillak viene portato fuori Cuorgnè, percorrendo la strada per Alpette. Letta la condanna di morte e concessa un’ultima sigaretta, gli viene annodato un cappio costituito da un filo telefonico, destinato però a spezzarsi nel momento fatale.
L’esecuzione deve essere ripetuta, utilizzando questa volta una corda di canapa da rimorchio. Adagiato il corpo sulla strada, sarà il presidente della corte marziale, tenente Kokermuller, a sparare alla testa del giustiziato.
Allontanatisi i tedeschi, gli abitanti del posto, a rischio della vita, diedero sepoltura alla salma.

Ugo Pecchioli, colui che aveva aiutato Fillak a rientrare in Italia da Losanna, così rievoca, a distanza di trent’anni, la memoria dell’amico:

“verso i primi giorni di aprile scendemmo con una squadra della 77ª da Alpette a Cuorgnè per una azione di disturbo. Ma facemmo un giro largo della cittadina. Strada facendo raccogliemmo quei bei fiori di campo che in primavera fanno così gaie e multicolori le nostre campagne. Volevamo portarle sul luogo dove Martin era stato ucciso. Era un’azione di guerra anche quella, portare fiori ai piedi del palo al quale venne impiccato il nostro compagno, a pochi passi dal blocco tedesco. Ma vi erano già fiori. Mani ignote li avevano deposti, forse qualche madre pietosa, qualche vecchio contadino che aveva assistito impotente all’assassinio dell’Eroe”.

Ultime lettere di Walter Fillak

Si noti la calligrafia precisa, il tratto regolare e l’ordine, che testimoniano come l’animo di Fillak fosse davvero sereno e imperturbato di fronte alla morte, come riportato da tutti coloro con i quali trascorse gli ultimi momenti della sua vita

Archivio Ilsrec

Fonti

Walter Fillak, Lettere dal carcere. Ottobre 1942- agosto 1943 (Cuorgnè, Anpi, 1975).

• documenti dell’Archivio storico dell’Ilsrec.

il Progetto  Team Classi Credits Ilsrec

Istituto Ligure per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea

Liceo Scientifico Statale G. D. Cassini Genova

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