Fonti Ecclesiastiche
IL RUOLO DELLA CHIESA GENOVESE
Il ruolo della Curia nella liberazione di Genova fu argomento di ripetute discussioni. Come scrive Giovanni Battista Varnier in un capitolo del volume “A wonderful job”. Genova aprile 1945: insurrezione e liberazione, volume collettaneo curato da Elisabetta Tonizzi, il dibattito ha toccato il culmine negli anni Settanta del Novecento.
Le dichiarazioni degli stessi membri della Chiesa genovese risultarono a volte contrastanti tra loro e variabili con il passare del tempo, come, ad esempio, le testimonianze dell’allora cardinale Pietro Boetto e quelle del vescovo ausiliare monsignor Giuseppe Siri, che in diverse occasioni attribuì a se stesso un ruolo preminente nella liberazione della città. Nel 1949 Siri, divenuto da alcuni anni arcivescovo, in occasione della Commissione d’inchiesta per il salvataggio del porto di Genova dichiarò che il 23 aprile 1945 all’Hotel Colombia il console generale von Etzdorf, per volontà dell’ambasciatore von Rahn, consegnò a lui l’amministrazione della città. Siri, inoltre, aggiunse: “gli dichiarai che accettavo l’incarico, ma gli feci comprendere che ciò facevo semplicemente per passare subito ogni responsabilità al CLN”, mostrando così al console l’intento di volersi sottrarre al compito a lui affidato.
Successivamente, in una dichiarazione del 1987, Siri sottolineò che l’effettiva resa di Genova avvenne alle ore 15 del 23 aprile, mentre due giorni dopo si sarebbe svolta solo la trattativa “ufficiale” a Villa Migone, residenza del cardinale Boetto, motivo per cui l’arcivescovo mai avrebbe festeggiato la data del 25 aprile. Dichiarò inoltre: “su questi fatti molto semplici sono stati scritti fiumi di parole, ma io ho agito in prima persona e, quindi, non parlo per sentito dire”. Perentoria la sua conclusione: “possiamo dire invece che l’umanità del Cardinale Boetto ha salvato Genova”, affermazione che evidenzia maggiormente il ruolo spirituale di quest’ultimo.
Infine, nel 1989, a quanto detto due anni prima aggiunse che, dopo aver ricevuto la consegna della città, ragazzi e giovani armati, venuti a conoscenza di ciò, costituirono delle brigate, una delle quali si dispose lungo via Gramsci, a sorveglianza del porto, dove erano insediati fascisti e tedeschi. Tra le minacce che Siri ricevette allora ci fu quella tedesca di far saltare il porto qualora la brigata partigiana non avesse permesso agli uomini del Reich di abbandonare la postazione e ritirarsi senza subire conseguenze. Basandoci sempre sulle sue dichiarazioni, Siri, compresa la gravità della situazione, decise di mettersi in contatto con il responsabile del settore di via Gramsci, Giuseppe Machiavelli convincendolo a trattenere gli armati. Anche in questo caso Siri si attribuisce il merito di aver fatto sgombrare la zona dalla brigata, evitando quindi le minacciate distruzioni.
In contrasto con la crescente esaltazione del ruolo della Chiesa operata nel dopoguerra da Siri, si pongono le dichiarazioni del cardinale Boetto, che in più occasioni mostrò gratitudine per l’azione di altri soggetti nella vicenda della liberazione di Genova.
“Non vi è dubbio, miei dilettissimi – dichiarò Boetto il 24 giugno 1945 – che noi dobbiamo avere e dimostrare molta gratitudine alle Autorità Alleate, al Comitato di Liberazione Nazionale, e alle numerose formazioni di partigiani che tanto efficacemente cooperarono per far terminare la guerra”.
In occasione della cerimonia in cui il Consiglio comunale gli conferì la cittadinanza onoraria, l’8 dicembre 1945, il cardinale Boetto affermò in modo esplicito “gloria ai partigiani, gloria a voi tutti che avete liberato la città”,
elogiando ancora una volta pubblicamente gli artefici di tale avvenimento.
“Gloria ai partigiani, gloria a voi tutti
che avete liberato la città”
(Boetto, 8 dicembre 1945)
Nonostante i genovesi lo chiamassero “il cardinale della liberazione” e lo stesso CLN gli avesse porto il suo ringraziamento per le azioni svolte a favore della città, egli non si prese mai il merito attribuitogli. A conferma di ciò troviamo una sua dichiarazione, riportata da Augusto Miroglio: “noi non siamo dei politici e la Chiesa non può intervenire nelle lotte delle potenze profane”.
Giudizi contrastanti, in merito alle azioni svolte dalla Curia, sono quelli espressi dall’azionista Carmine Alfredo Romanzi, che accompagnò Meinhold a Villa Migone nel pomeriggio del 25 aprile per la firma della resa, e dal gesuita Arnaldo Maria Lanz, autore della biografia Il cardinale Pietro Boetto S.I. Arcivescovo di Genova (1871-1946), pubblicata nel 1949 da Casa editrice Pisani (la sigla S.I., che i gesuiti sono soliti posporre al loro nome, sta per “Societas Iesu”).
Il partigiano azionista ha sottolineato come la dimora privata del cardinale Boetto, quale luogo d’incontro per le trattative della resa, fosse stata scelta in quanto sede neutrale e ha riconosciuto i contatti intercorsi tra Siri e le autorità consolari tedesche. Concordava anche sull’esistenza di una lettera, indirizzata al generale Meinhold, che il cardinale fece pervenire al CLN e questo organismo allo stesso Romanzi, ma dissentiva apertamente sul resto: nel 1991, in un’intervista rilasciata al “Secolo XIX” ha affermato che “il generale Meinhold si è arreso alle truppe partigiane, non alla Curia, e lo so bene perché le trattative con il generale, dall’inizio alla fine, le ho tenute personalmente io, su autorizzazione del CLN. La firma della resa è sì avvenuta a villa Migone, residenza del cardinale Boetto, ma questa è stata solo una conclusione”.
Il gesuita Lanz ha analizzato questo tema nell’opera, sopra citata, commissionatagli dalla Compagnia di Gesù, lavoro editoriale per il quale potè utilizzare le memorie e i diari, ancora inediti, raccolti da fratel G.B. Weidinger, gesuita anch’egli, stretto collaboratore del cardinale. Un volume ritenuto dagli storici fonte attendibile, sebbene quasi privo di note. Lanz trascrive una lettera di Boetto, inviata il 14 aprile 1945 al comandante del porto di Genova Max Berninghaus, nella quale supplicava l’ufficiale della marina tedesca di risparmiare la città dalla distruzione. La lettera venne consegnata personalmente dal vescovo ausiliare Siri, che in tal modo ebbe l’opportunità di aggiungere a voce “spiegazioni e commenti di seria importanza”. L’autore ritiene che l’effetto della lettera sia stato positivo, avendo Berninghaus fatto intendere di aver compreso l’importanza delle ragioni addotte: un atteggiamento che infondeva una certa speranza. L’azione di Siri, aggiunge in una nota Lanz, diede un contributo prezioso alla mediazione che, portata avanti da Boetto, riuscì a salvare Genova dalla distruzione.
Lanz riporta inoltre una lettera del cardinale, indirizzata al generale Meinhold, sulla cui data di consegna esistono versioni discordanti. Iniziamo con quella del biografo di Boetto. Il gesuita, rifacendosi alla testimonianza di Weidinger, sostiene che la missiva venne già recapitata al generale la sera del 24 aprile: quando attorno alle ore 23 due partigiani, inviati dal CLN, si recarono presso l’abitazione di Sua Eminenza per ritirare la lettera, fu lo stesso Siri a tranquillizzarli, dicendo che a quell’ora la lettera era già nelle mani di Meinhold.
In contrasto con quanto affermato da Lanz è invece Romanzi, il quale ha dichiarato di essere stato lui stesso a far pervenire al generale tedesco, nel suo quartier generale di Savignone, la lettera di Boetto, insieme a quella affidatagli dal CLN: missione portata a compimento la mattina del 25 aprile, dopo un avventuroso viaggio da Genova cominciato alle ore 22 della notte precedente – e durato ben otto ore per percorrere una trentina di chilometri – a bordo di un’autoambulanza.
Un’ulteriore incongruenza nello scritto di Lanz si coglie a proposito dell’episodio della consegna, da parte di Meinhold, della rivoltella a Romanzi, gesto simbolico attestante una chiara volontà di resa che nel dopoguerra il generale tedesco avrebbe cercato di sminuire e minimizzare: mentre il gesuita lo situa al momento dell’arrivo presso Villa Migone, dimora del cardinale, nel pomeriggio del 25 aprile, il diretto interessato Romanzi lo colloca al mattino di quello stesso giorno.
Ascoltiamo in proposito la sua testimonianza, raccolta in una intervista del 1993, ripubblicata nel 2013 in “Storia e memoria”, n.1, rivista semestrale dell’Ilsrec:
“prima di metterci in viaggio [da Savignone a Genova, per la firma della resa] mi consegnò la sua pistola come garanzia della lealtà delle sue intenzioni. Alle dieci siamo ripartiti insieme, sempre sull’ambulanza; il capitano Asmus ci seguiva su un’altra macchina […] Cosa esattamente pensasse Meinhold nel momento in cui mi ha consegnato la sua pistola non posso né saperlo né ipotizzarlo […] se un soldato, anzi un generale, consegna la sua pistola è per indicare che si arrende ed io così l’ho interpretato”.
Non quindi nel pomeriggio del 25 aprile ma al mattino, non in prossimità della dimora del cardinale ma all’inizio del viaggio verso Genova avvenne la consegna della pistola. Su questi due episodi – data e orari della consegna della lettera a Meinhold e della pistola a Romanzi – la ricostruzione di Lanz non trova riscontro in nessun’altra testimonianza.
Come già detto, il gesuita ha inteso esaltare il ruolo della Curia. Indicativo, in tal senso, è il seguente passaggio, in cui Lanz riporta lo scambio di parole che suppone sia avvenuto nel colloquio privato tra Boetto e Meinhold: “al Generale che per non cedere obbiettava: «Ma io ho giurato di obbedire al Führer!», il Cardinale aveva risposto: «Ma al di sopra del Führer, c’è Dio!». A quella parola il soldato si era piegato. Dio aveva trionfato.”
Voluto da Siri nel 1949, il bassorilievo della tomba di Pietro Boetto, situato in San Lorenzo, cattedrale di Genova, mostra un soldato tedesco nell’atto di abbassare la testa al cospetto del cardinale. Chiaro il messaggio evocato: Genova doveva la sua salvezza alla Chiesa, la cui suprema autorità morale aveva indotto i tedeschi alla resa e risparmiato ulteriori lutti e distruzioni. Del ruolo dei partigiani nessuna traccia. L’alterazione dei fatti storici fu tale da suscitare l’irritazione non solo del mondo partigiano ma persino dell’ex generale Meinhold, che in una lettera indirizzata al cardinal Siri nel 1951 definì quel bassorilievo la “bugia pietrificata di San Lorenzo”.
Il messaggio del bassorilievo di San Lorenzo: la Chiesa ha salvato Genova
Con altrettanta evidenza si coglie l’intento, da parte di Lanz, di screditare il ruolo del CLN e, all’interno di esso, dei partiti di sinistra. Ciò emerge con chiarezza nella seguente affermazione: “la parola del sacerdote aveva ottenuto ciò che nessun politico, né alcun guerriero aveva ottenuto in quella guerra di distruzioni e di sangue: la resa pacifica di un esercito germanico”. Per una doverosa contestualizzazione storica dell’opera di Lanz va tenuto conto che il periodo in cui essa venne redatta corrisponde agli anni della Guerra fredda, caratterizzati, come è risaputo, da una forte tensione tra ideologie e poli contrapposti. In Italia, nel 1948, si erano tenute le elezioni politiche, svoltesi in un clima di radicale contrapposizione ideologica e reciproca delegittimazione dei due schieramenti politici antagonisti: un’aspra contesa che aveva posto fine alla stagione dei primi governi improntati all’unità ciellenistica e che avrebbe lasciato strascichi per decenni. L’opera di Lanz ne risentì certamente, al pari di molte altre.
Nel suo volume, oltre ad esaltarne il ruolo, Lanz fa emergere anche i tratti peculiari della personalità del cardinale Boetto. A dimostrazione di ciò riferisce che il generale Meinhold, poco prima della stesura dell’atto di resa, espresse a Weidinger il desiderio “di passare qualche giorno in compagnia di Sua Eminenza”, aggiungendo che “aveva bisogno di riposo e di conforto, dopo tutto quel che era succeduto. Non aver egli mai provato tanto affetto e bontà in tutta la sua vita, quanta ne provava allora presso Sua Eminenza”.
Varnier, nel libro già citato, mette in luce la necessità di Meinhold di rifugiarsi presso Villa Migone al fine di salvaguardare la propria incolumità e non, piuttosto, per un conforto spirituale da parte del cardinale. C’è da aggiungere che, in seguito alla resa, nei confronti di Meinhold era stata emanata una condanna a morte, come traditore, da parte dei fedelissimi di Hitler, contrari a deporre le armi e decisi ancora a battersi.
Secondo l’opinione di Varnier in merito al ruolo della Chiesa genovese nella liberazione della città, fu la convergenza di forze diverse a consentire il salvataggio del porto di Genova e la resa tedesca. Lo storico ritiene infatti che “forze militari, partigiane, politiche, religiose, economiche, operando in clandestinità, quindi senza collegamenti tra loro e costrette a ignorarsi a vicenda e con comprensibili difficoltà di comunicazione, insieme a fattori personali e strategici ebbero come esito la liberazione della città e il salvataggio del porto”.
Un giudizio storico condivisibile.
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Liceo Scientifico Statale G. D. Cassini Genova